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The Oral History: Neil Young (1968)


Neil Young: Quel periodo della mia vita fu meraviglioso. Era tutto bello. Stava per partire la mia carriera solista dopo gli Springfield, oltre al bisogno di essere più indipendente e di cantare più canzoni mie. Ne avevo davvero tante. Avevo conosciuto [David] Briggs e stavamo progettando il mio primo album solista. Le canzoni venivano dal passato e dal futuro, erano quasi tutte sogni, niente di concreto: erano qualcosa da registrare, come ad esempio “Here We Are In The Years”, o per l'espressione di un anelito personale, come “I've Been Waiting For You”. Alcune erano un flusso di coscienza, come “The Last Trip To Tulsa”, senza un pensiero a priori che desse loro una forma. Erano solo canzoni. Allora non c'era molta pressione su di me per eguagliare qualcosa che avevo già fatto. Quello accadde dopo. Il limite era il cielo. Non avevo idea di cosa stava per succedermi. 
[…] Nell'agosto del 1968 io e Briggs iniziammo a lavorare insieme al mio primo album da solista. […] I Buffalo Springfield erano una bella cosa, ma creativamente mi sentivo frustrato, avevo molto di più dentro. […] Scrivevo tutti i giorni. La prima cosa che facevo al mattino era prendere la chitarra e partire, subito. Immaginavo arrangiamenti che non vedevo l'ora di registrare. […] Elliot [Roberts] mi fece un contratto da solista con la Reprise e David prenotò i Wally Heider Studios di Selma Avenue, a Hollywood. […] La sezione ritmica era composta da George Grantham e Jim Messina, mentre io registravo sovraincidendo gran parte degli strumenti. Briggs scoprì presto che per registrare le voci dovevo bere birra. A quei tempi non cantavo dal vivo, sovraincidevo. Ero molto insicuro del mio modo di cantare […]. Al Sunwest Recording Studio di Sunset Boulevard, per una nuova seduta di registrazione, arrivò Jack Nitzsche. Del primo album, con me fece “The Old Laughing Lady” e “I've Loved Her So Long”. [8]
Il mio primo album fu davvero un primo album. Volevo provare a me stesso che ero in grado di farlo. E lo feci, grazie alle meraviglie dei macchinari moderni. Quell’album fu una gigantesca sovraincisione. Ma nonostante questo è uno dei miei preferiti. [2]
Il primo disco fu un’esperienza davvero solitaria. Perché non suonavo con nessuno. Un altro modo di vederla è che fu un lavoro amorevole – fu sia un lavoro amorevole che un esperienza solitaria. Ma non c’è una gran differenza tra le due cose. Era qualcosa che dovevo fare. Fui davvero contento quando finii, perché era così tecnico, c’era troppo da pensare. Lì capii quanto fosse difficile costruire qualcosa quando la si può effettivamente suonare. […] Poi arrivò l’Heico-CSG Process. Ecco, ero un artista appena arrivato, al mio primo album, non avevo hits, e gridavo “siete dei maledetti pazzi se pensate che [il CSG] sia una cosa buona – non ditemi che è migliore, so che non lo è!” E non lo era. [1]
L’album in sé stesso è molto buono, ma usarono un procedimento nuovo – il CSG – sul rough mix, e questo l’ha rovinato. Il CSG era quella tecnica di merda che schiacciava il suono per fare suonare la musica in maniera uniforme, identica sia in mono che in stereo. E la casa discografica la provò sul mio primo disco. [3]
David Briggs e io spendemmo moltissimo tempo su questo disco. Quando l'album uscì ne fummo davvero delusi. Il sound era terribile. […] L'obiettivo del CSG era di avere un disco in stereo da far suonare sul piatto in mono. Fu un disastro. Riuscimmo a rimasterizzare il disco. La vidi come un'opportunità per mixare nuovamente certe canzoni. Andavo di fretta e il mix di “Here We Are In The Years” dev'essere stato abbandonato a sé stesso. Naturalmente non me n'ero reso conto. Quando la seconda edizione del disco uscì, aveva il mio nome sul bordo superiore, quindi potete capire se avete l'originale versione CSG. [6]
Il sound non esce dallo studio ma dai musicisti. Questo è quello che penso sia il lato debole […] del mio primo album. E’ stato sovrainciso anziché suonato. [4]

Non sei stato soddisfatto dell’album nel suo insieme, quando è uscito?
Young:
Ero soddisfatto al massimo di quello che avevo fatto. Ma quando è uscito il lavoro masterizzato, mi ha sconvolto, non potevo sentire quello che era venuto fuori… Ora è stato rimasterizzato [senza CSG] e lo si può ascoltare. Era stato mixato davvero male. […] La nuova versione è molto meglio, più chiara. C’è molta più vita dentro. [4]

Cosa imparasti da quelle prime sovraincisioni?
Young:
Non ci sono praticamente sovraincisioni nel secondo album. Heh heh. Le puoi fare per aggiungerle un po’ di colore, un po’ di carica… ma non per la parte sostanziale della musica. Quando per la prima volta ebbi la libertà di usare uno studio, ne abusai. Suonai tutto io nel mio primo album. Era la linea di pensiero verso cui si andava negli Springfield. Non avrebbero dovuto permettercelo. Era sbagliato. [1]

Non hai mai fatto un altro disco come Neil Young da allora.
Young:
No. […] Se lo avessi lasciato perdere all’inizio sarebbe stato meglio. Come molte delle cose dei Buffalo Springfield, continuavo a lavorarci su e facevo cazzate. Non lo faccio più. Grazie a Dio ne sono uscito subito. [1]

La voce sembra essere la cosa che davvero tiene il tutto insieme.
Young:
La voce è stata fatta in un altro studio… Tiene unito il resto. E’ davvero particolare. [4]

David Briggs: Ci divertimmo parecchio a registrarlo. Ci alzavamo, fumavamo uno spinello, andavamo giù per Mulholland verso Hollywood. Lavoravamo per tre ore in uno studio, poi andavamo in un altro… A quei giorni Hollywood aveva grandi studios – Sunset Sound, Wally Heider, Gold Star, TTG. Era meraviglioso. Quell’album è un capolavoro di suoni. Avevamo suoni come nessun altro a parte Hendrix. [1]

[A proposito della copertina, dipinto che Roland Dielh, artista di Topanga, fece su richiesta di Susan Acevedo, la prima moglie di Neil.]
Young: Mi piaceva la copertina. Non sapevo cosa farne, tutto qui. Era un primo piano della mia faccia, ma non ero veramente io... Non era molto commerciale. [1]

Il tuo primo album fu una canzone d’amore per Susan?
Young:
No. Pochi dei miei dischi sono dediche d’amore per qualcuno. La musica è così grande, amico, che si prende molte stanze. […] La musica dura… molto più delle relazioni. [2]

A quel tempo eri creativamente vicino a Jack Nitzsche così come a un gruppo chiamato i Rockets che sarebbe poi diventato i Crazy Horse. Stavi effettivamente cercando queste persone per lavorarci insieme?
Young: Semplicemente mi piacevano. Non le stavo cercando, le ho trovate. Tutto in un momento c’erano queste altre persone e io andavo avanti e indietro tra loro e gli Springfield. Jack mi ha insegnato molto: voglio dire, aveva lavorato come arrangiatore degli Spector e aveva suonato il piano in sessions dei Rolling Stones. Lo incontrai a Hollywood in un club proprio quando gli Springfield avevano iniziato. Ce lo avevano presentato Greene e Stone che erano i nostri manager. Ci siamo piaciuti e ci divertivamo insieme. Amavo ascoltare le sue idee. Poi lo frequentavo perché aveva sempre i nuovi dischi che gli spedivano ogni settimana e si sedeva ad ascoltarli, formulando le sue opinioni… Lavorava come arrangiatore indipendente, era molto richiesto. [5]

A proposito di “I’ve Been Waiting For You”
Young: Quella è l’unica [canzone del disco] che suona nel modo giusto, ma tutto è stato suonato in giorni diversi, ogni strumento. In quella traccia... è incredibile… vedi come la cosa può funzionare, una volta ogni tanto. Perché quando ho fatto la prima chitarra c’ero davvero dentro, quel giorno, e tutto il mood c’è finito dentro. All’inizio abbiamo fatto la chitarra acustica, il basso e la batteria… e poi la chitarra acustica aveva un brutto suono e il basso non faceva le note giuste ed era leggermente stonato, perciò li abbiamo rifatti; quindi c'è solo una cosa originale in questo pezzo, la batteria. Poi ci ho suonato sopra le cose che avevo suonato prima e Jim Messina, al basso, ha sovrainciso la sua parte, e poi ha pensato a una parte di basso diversa così abbiamo tolto la prima e ne abbiamo fatta una nuova… Poi abbiamo lasciato perdere la chitarra acustica perché non ci stava con le altre cose che avevo registrato… perciò non era rimasto niente se non la batteria. Poi fu la volta dell’organo a canne. Parte di queste cose le abbiamo fatte in diverse città… [4]

Briggs: I rumori psichedelici della chitarra di “The Loner” e “I've Been Waiting For You” furono realizzati inserendo la chitarra di Neil in un organo Leslie, senza passare per l'amplificatore. [1]

[Neil] aveva il controllo del suo album solista?
George Grantham [bassista]:
Sì. Suonava tutto fuorché batteria e basso. Al massimo eravamo in tre in studio. Ci diede un nastro perché facessimo pratica con le canzoni. Non ci disse cosa voleva. Le canzoni parlavano da sole. Jimmy [Messina] e io buttammo giù basso e batteria in circa due settimane. La produzione cambiò diverse cose. Alcune cose le apprezzai, altre no. Ma era il disco di Neil, poteva farne ciò che voleva. [7]

A proposito di “The Old Laughing Lady”
Young:
Avevo una serie di date da solo, in acustico […], cafè e folk club di Detroit. “The Old Laughing Lady” – stavo bevendo un caffè e l'ho scritta lì sul tovagliolo. Non so da dove scaturì. Venne fuori sul tovagliolo, senza chitarra. Allora non ero molto bravo, sai... Le mie canzoni erano un pochino stupide. Le puoi sentire nelle Elektra Tapes... erano quel che erano. [1]

A proposito di “The Loner”
Grantham:
Ricordo assolutamente la creazione di "The Loner". Quello era il singolo. Fu piuttosto veloce. Uno dei primi take. E suonava da singolo. Piaceva a tutti. "The Loner" colpisce più di tutto il resto. Suona come Neil nei Buffalo Springfield. [7]

A proposito di “The Last Trip To Tulsa”
Young:
David Briggs suggerì una birra Oly. La Olympia era la mia preferita. Mi sciolse abbastanza e infatti, senza sovraincisioni, cantai “The Last Trip To Tulsa”, un brano di quasi dieci minuti. [8]
“The Last Trip To Tulsa” è la mia idea di canzone buffa ed è solo una delle tante. [5]
Dopo averla fatta non mi piaceva e non la volevo. Dopo che l’album è uscito ancora non mi piace, sai, ma a un sacco di gente piace più di tutto il resto dell’album. Vedi, è strano. Suona eccessiva. Suona come un errore, per me, ma un errore fortunato. [4]
[Le canzoni] non devono per forza aver senso, quanto piuttosto fornire un sentimento. Diciamo che “ti forniscono” il senso. Come “The Last Trip To Tulsa” o “Rapid Transit” [in Reactor, ndt], non hanno un gran senso. Qualcuna lo ha, qualcuna no. Non è importante per me. La canzone non è fatta per far pensare a me. E’ fatta perché le persone pensino a sé stesse. [1]

Fonti:
[1] Jimmy McDonough, “Shakey - A Neil Young Biography”
[2] Rolling Stone 1975
[3] Mucchio Selvaggio Extra 1993
[4] Rolling Stone 1970
[5] Mojo 1995
[6] Neil Young Archives Vol.1
[7] Uncut.co.uk, 2009
[8] Neil Young, “Il Sogno di un Hippie”

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