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Visualizzazione dei post da luglio, 2010
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American Dream (1988)

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L' AMERICAN DREAM DEI QUATTRO CAVALIERI Sono passati diciotto anni dalla loro ultima produzione insieme, ma ogni rock fan porta i loro nomi del cuore: David Crosby, Stephen Stills, Graham Nash e Neil Young, insieme e da soli, hanno scritto pagine importanti della storia del rock, con gli Hollies, i Byrds, i Buffalo Springfield e, soprattutto, con la gloriosa band che portava i loro nomi, hanno attraversato gli anni sessanta, reso favolosi e mitici i primi anni settanta, per poi scomparire, chi più chi meno. Oggi, diciotto anni dopo, eccoli ancora qui, alcuni decisamente ingrassati, come Crosby e Stills, altri con molti capelli bianchi, come Nash, altri ancora con la grinta e la voglia di far la musica di sempre, come l'imbattibile Neil Young. Sono tornati insieme per un nuovo album, intitolato American Dream. Non è certamente un album di nostalgia, non c' è un solo momento di celebrazione del passato. Anzi, i quattro cavalieri del vecchio hippismo hanno gli occhi b

Mimmo Locasciulli: Benvenuti nel futuro

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servizio tratto dagli articoli di: Giampiero Cappellaro ("L'isola che non c'era" n.10/1998) e Maurizio Gregorini ( "Italia Sera" - 9 maggio 1998 - rubrica "lo spettacolo" )  È un uomo semplice, non ci sono dubbi. E uno dei personaggi storici della canzone d'autore che conta, figlio di quel segno di un mondo diverso in cui ha ancora un senso chiedersi il perché. Mi è sempre piaciuta la sua scontrosità, il suo stare al di fuori dalla mischia: come, del resto, si vuole che sia per un artista in regola con i quattro quarti di nobiltà creativa. Il suo nuovo album, "Il futuro", è in realtà un ritorno al passato, ai suoi grandi maestri, i vari Cohen, Dylan, De Ville, Young, Costello, Waits, con il suo carico di sentimenti profondi, non sempre rassicuranti ma, in ogni caso, reali. Per noi è uno dei grandi. E tanto basta. Un album strutturato da undici canzoni, nove cover e due inediti. Un lavoro complicato se lo si accosta alla serietà d

Oh Lonesome Me: Don Gibson, chi era costui?

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Canzone fondamentale per comprendere il cosiddetto "Nashville sound" della RCA inventato a cavallo degli anni '50 e '60 dal musicista/produttore Chet Atkins con l'ausilio del pianista Floyd Cramer. Sintetizzando al massimo, gli strumenti che avevano caratterizzato la musica country degli anni precedenti (violino, steel guitar, banjo) venivano abbandonati per essere sostituiti da un sound più moderno, meno naif e, soprattutto, più appetibile per il pubblico musicale urbano che non gradiva il suono "country" e spesso lo disprezzava, bollando questa musica con i termini non lusinghieri di "Hillbilly" o "redneck". Quindi, chitarre amplificate, basso elettrico, batteria più potente, cori femminili in primo piano e abbandono dei luoghi comuni della letteratura country nei testi delle canzoni (tradimenti, assassinii, treni, hoboes, orfanelli derelitti, e disgrazie in vario assortimento). Don Gibson, anche compositore del brano, era sta

Neil Young: le apparizioni televisive del 2005

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a cura di Salvatore Esposito originariamente pubblicato nella rubrica Long May You Run Shelter From The Storm Benefit Seguiamo questa sera la partecipazione di Neil Young insieme ai Fisk University Jubilee Singers al Shelter From The Storm Benefit, concerto di un ora per le vittime dell'uragano Katrina trasmesso in Italia dal canale 109 di Sky. Il concerto è stato aperto da Randy Newman che ha cantato Louisiana 1927, un brano che racconta le vicende e i disastri di un uragano passato sulla Lousiana. Nel corso della diretta televisiva Neil ha cantato When God Made Me da Prairie Wind 09-09-2005, Los Angeles, California Shelter From The Storm: A Concert For The Gulf Coast w/ The Prairie Wind Band When God Made Me Band: Neil Young - vocals, grand piano Spooner Oldham - organ Rick Rosas - bass The Fisk University Jubilee Singers - background vocals ReAct Now - Music + Relief Benefit Dopo la partecipazione allo Shelter From The Storm Concert, seguiamo questa

Eddie Vedder introduce Neil nella Rock 'n' Roll Hall of Fame

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Tradotto da Dennis Varotto 1/12/95 Waldorf Astoria Hotel, New York, NY "Credo che non riuscirò mai a dimenticarmi di questo fatto: mi sa che erano Peter Buck dei R.E.M. e Neil Young e stavano parlando di musica e dell'amore che nutrono verso il vinile e il suono analogico confrontato con quello digitale e, che peccato, l'industria (indica i membri del pubblico) lo mise da parte. Um, e poi disse qualcosa tipo 'Quella gente al Rock 'n' Roll Hall of Fame farebbe meglio a pensarci 2 volte prima di farmici entrare perchè se anch'io finirò su quel podio davanti a quella gente, ne avrò da dire.' Quindi spero che Neil sia energico stasera e, visto che siamo in tema di energicità, quei simpaticoni che hanno preparato le tavole hanno messo il nostro tavolo vicino a quello del TicketMaster lassù, quindi mi sa che per la fine della sera faremo una lotta a base di cibo...e consiglierei alla gente di classe come Lou Reed e Laurie Anderson, che son lassù, di sgo

La colonna sonora dell'11 settembre

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di Luca Castelli Tirando le somme, i tragici eventi dell’11 settembre non hanno sconvolto più di tanto il mondo della musica, che si trova a dover fare i conti con una crisi economica e d’identità dalle origini molto più lontane nel tempo. Tuttavia, è impossibile negare come le immagini degli aeroplani killer abbiano impressionato, sgomentato e influenzato le attività di centinaia di artisti. C’è chi – come Madonna, Janet Jackson o Mary J.Blige – all’indomani degli attentati terroristici ha improvvisamente bloccato ogni attività dal vivo, vuoi per motivi di sicurezza, vuoi per solidarietà nei confronti delle famiglie delle vittime (le stesse ragioni che, in Italia, hanno portato all’annullamento dell’Mtv Day 2001). Qualcun altro ha dovuto fare i conti con scelte artistiche prese in tempi non sospetti e diventate di colpo imbarazzanti e/o sconvenienti. Gli inglesi Primal Scream hanno dovuto rinominare una canzone, che da “Bomb the Pentagon” è diventata “Rise”; gli Strokes, che sotto le

E' l'ultimo guerriero

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di Ernesto Assante da Repubblica del 05.09.1997

Year of the Horse (1997) - Rassegna Stampa

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Year of the Horse Usa, 1997 Regia Jim Jarmusch Musica Neil Young e Crazy Horse Montaggio Elliot Rabinowitz Interpreti Neil Young e i Crazy Horse Produzione Upstream Video & Film Durata 107' Year Of the Horse è il film-documentario sulla tournee che Neil Young ha intrapreso con i fidatissimi Crazy Horse nel corso dell’anno passato, frammisto a spezzoni tratti da concerti del 1976 e del 1986. Regista d’eccezione, chiamato dallo stesso Young, è Jim Jarmusch, con il quale il menestrello canadese aveva già collaborato due anni or sono, componendo la colonna sonora del suo ultimo lungometraggio, "Dead man". Se nel film di Jarmusch, peraltro, fu Neil Young a piegarsi ad un racconto già concluso (le musiche furono infatti composte in fase di montaggio), confezionando un puzzle musica-immagini fra i più visionari e potenti degli ultimi anni, in questo caso Jarmusch è un fedele documentarista che con la sua telecamera ‘ruba’ immagini di concerti e vita privata

Harvest Moon - Rassegna Stampa

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NEIL YOUNG, UN NUOVO ALBUM SULLE ORME DEL LEGGENDARIO HARVEST E un mito, fiorito alla metà degli anni Sessanta con l'invenzione del folk rock, ed è ben lontano dall'appassire. Neil Young sforna un nuovo disco, Harvest Moon, il suo ventunesimo, acustico e dolcissimo, in cui l'impegno civile traspare solo dal brano "War of man", sulla guerra del Golfo. E lo fa proprio nell'anno in cui casca il ventennale dell'album Harvest che lo fece amare a ogni latitudine del pianeta. E quest'ultimo sembra la fotocopia, stupendamente riuscita, del primo. "Si assomigliano? Beh, è perché ho potuto contare su alcuni musicisti che avevano collaborato allora. E perché tre, quattro brani, li avevo cominciati a scrivere addirittura nel '75...", spiega con gli occhi nascosti dietro lenti scure. Neil si presta, lui solitamente ostico a tutte le regole tanto più a quelle del business discografico, a rispondere ad alcune domandine, quasi per fare un favore a