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Bloomfield, Kooper & Stills - Super Session (1968)


Trentacinque anni fa, quando il rock era ancora una cosa piccola, per quanto viva ed esplosiva, Al Kooper ebbe l'idea di una libera jam in studio con un amico che ammirava, Mike Bloomfield. Kooper è oggi un vecchio tastierista dimenticato ma all'epoca era una piccola star, con i galloni di una storica collaborazione con Bob Dylan (Highway 61 !) e altri fregi sulla divisa per il lavoro con i Blues Project e i primi Blood Sweat & Tears. Bloomfield era un po' meno noto, anche se sicuramente apprezzato. Era stato anch'egli soldato di ventura con il primo Dylan elettrico, a cui aveva prestato incendiari licks di chitarra, aveva militato nella Electric Flag ma soprattutto si era distinto con la Paul Butterfield Blues Band nelle sue varie evoluzioni, quelle puristiche-calligrafiche con il blues di Chicago e quelle invece più di fantasia in vaghe brume psichedeliche (East-West). L'idea venne a Kooper, e oggi può sembrare ordinaria ma allora fece scalpore. Il rock era un mondo piccolo, dicevamo, e l'idea che due musicisti potessero andare in studio a inventare in libertà, senza vincoli di gruppo, era davvero singolare; quelli erano i modi del jazz, che sul tema delle jam sessions aveva costruito non solo pagine belle ma tutta una mitologia. Gli appassionati restarono infatti a bocca aperta, quando il disco uscì, e si eccitarono ancora più quando Kooper e Bloomfield decisero di fare il bis dal vivo, con il doppio Live Adventures. Grandi album storici, che il tempo non ha sciupato, anzi. Live Adventures è stato ristampato con bonus tracks un paio di anni fa e ora anche Super Session riceve lo stesso trattamento «espanso»: tre bonus in studio e un avanzo dallo show al Fillmore West del 1968. In più, come «frutto collaterale», la Legacy pubblica un intero album inedito, nastri da un concerto di Kooper e Bloomfield al Fillmore East nel dicembre 1968 che si credevano perduti e invece erano solo dispersi negli immensi archivi Columbia. Ma torniamo all'idea originaria di Kooper e al suo primo contatto con Bloomfield, un giorno del 1968. È una storia intricata. Bloomfield dice sì ma chiede di registrare in California, non ha alcuna intenzione di sbattersi più di tanto; ha voglia di suonare in libertà ma è così preso dal mito del blues «puro e vero» che reputa quell'incontro un artificio commerciale, un trucco, diciamo pure una truffa - che ci crediate o meno, non cambierà idea fino a che sarà in vita. I due scelgono da bravi fratellini i collaboratori: Kooper porta Harvey Brooks, reduce dalla Electric Flag, Bloomfield il batterista Eddie Hoh, già con i Mama's & Papa's. Si va in studio e, in due turni, metà disco è già pronto: un paio di belle improvvisazioni slow blues (Albert's Shuffle e Really), un suggestivo jazz rock modale con i timbri strani dell'ondioline (His Holy Modal Majesty) e due cover di sicura presa da Jerry Ragavoy (Stop) e Curtis Mayfield (Man's Temptation). 
Tutto sembra andare liscio ma, il terzo giorno, Kooper scopre con terrore che Bloomfield ha abbandonato il campo. Ha problemi di eroina, senza droga non riesce a dormire e lontano dalle solite fonti di spaccio si sente perduto. Kooper è costretto così a reinventarsi il disco, ma se la cava benissimo. Chiama Stephen Stills, fuori dai Buffalo Springfield e non ancora salito ai cieli di CSN&Y, e con lui disegna quattro altri brani per la seconda facciata dell'album, in una lingua nobile e compatibile. Stills è un chitarrista meno pirotecnico di Bloomfield, più country folk, ma quando c'è da sfoderare le unghie non si tira indietro, come dimostra la splendida versione di Season Of The Witch che spicca nella sua facciata. Gli altri pezzi non sono a quel livello ma suonano comunque divertenti: una morbida cover della dylaniana It Takes A Lot, una You Don't Love macchiata da strani effetti sonori e un gingillino romantico, una Harvey's Tune firmata da Brooks che va a chiudere l'album. Il disco esce, va in classifica, diventa il mito che abbiamo detto. Kooper ne è lusingato e pensa a una sua edizione live, anche perché una delle (rare) critiche ricevute riguarda una certa asetticità della musica - è un po' fredda, ha scritto qualcuno, e lui vuole dimostrare che in scena può essere caldissima. Chiama allora Bloomfield che, imbarazzato per il guaio che gli ha procurato la prima volta, gli dice senz'altro sì. Fissano tre date al Fillmore West di San Francisco, suonano da dio per due sere ma alla terza il film si ripete; Bloomy questa volta finisce addirittura in ospedale e per chiudere gli show (e il disco programmato, appunto Live Adventures) il povero Kooper deve chiedere aiuto ad altri chitarristi, fra cui il giovanissimo Carlos Santana - che tra l'altro fa il suo esordio su disco. C'è una coda ancora. Qualche mese più tardi, 13 dicembre 1968, Bill Graham presenta Kooper e Bloomfield al Fillmore East, esportando a New York quella favolosa attrazione californiana. È il concerto che dicevamo prima, i cui nastri han riposato trentacinque anni negli archivi. Poche ore prima dello spettacolo, Kooper riceve una telefonata dall'amico che gli prospetta l'ennesimo «pacco»; è bloccato a Chicago da una tempesta di neve. Kooper stavolta però è preparato; ha una carta di riserva in mano, un asso addirittura, cioè B.B.King. Se la caverebbe alla grande in ogni caso ma Bloomfield ce la fa ad arrivare e contribuisce da par suo a una serata che tutti ricordano bella e vibrante. I nastri confermano: ci sono brani già noti per Live Adventures, a cominciare da Together 'til The End Of Time, ma anche novità come Don't Throw Your Love On Me So Strong di Albert King e un'ispirata Season Of The Witch che consente a Bloomfield di duellare a distanza con Stills. Con i due protagonisti suonano alcuni volenterosi musicisti del luogo (Paul Harris al piano, Johnny Creci alla batteria, Jerry Jemmott al basso), più Johnny Winter che fa un luccicante cameo in una cover di B.B King, It's My Own Fault. Pura magia rock blues; capace di incantare tutti meno i due protagonisti. Del disprezzo di Bloomfield abbiamo detto; quanto a Kooper, non è mai stato così critico ma in cuor suo ha sempre pensato a quell'avventura come a una strana cosa fortunata. Probabilmente è convinto di avere fatto di meglio nella sua lunga carriera; ma è vero che le sue altre pagine di quegli anni giacciono dimenticate mentre la Super Session con i suoi dintorni è ancora circondata da grande affetto e attenzione, un talismano per gli appassionati di rock blues e tutti i cultori degli anni Sessanta.
Super Session (Columbia Legacy) *****
Fillmore East - The Lost Concert Tapes (Columbia-Legacy) **** 

Riccardo Bertoncelli

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