di Fabrizio Pezzoli, tratto dalla rivista Late For The Sky, n. 45, marzo 2000
In quel periodo il recupero della musica popolare e l'ondata del folk rigorosamente acustico non stavano più solo lambendo le prime spiagge degli ambienti musicali nordamericani, ma si erano già diffuse a marea in ogni ambito studentesco. Già alcuni alfieri tentavano nuove strade di rinnovamento e di ricerca musicale. Bob Dylan aveva appena dato uno scossone al nuovo, confortante stile con la svolta i Newport e i meravigliosi scandali di Bringin' It All Back Home e di Highway 61 Revisited. I Byrds seguivano a ruota il maestro ed elevavano il folk-rock a piattaforma di lancio per avventure spaziali in altri ambiti musicali. Nel 1965 i circuiti del folk erano ancora la terra promessa di tanti giovani poeti con la chitarra, sebbene il terreno fosse fertile per una sana semina innovatrice. Una prima scossa tellurica era già stata provocata dai Beatles, con l'isterico tour americano del 1964 e il trascinante film-documentario A Hard Day's Night, la visione del quale centrifugò miriadi di cellule cerebrali. L'energia e l'entusiasmo giovanili chiedevano spazio alla mesta e rigorosa modestia della tradizione. Il rock premeva alle porte del folk.
Hot Dusty Roads
Ottobre 1965. Da Toronto un ventenne Neil Young, canadese tenace e dotato, capita a New York per una prolifica toccata e fuga di gavetta. L'imberbe Young ha già suonato in svariati complessi adolescenziali e l'ultimo gruppo, gli Squires, si è scilto solo pochi mesi prima. Il canadese sta girando il circuito folk delle grandi metropoli del Nord in compagnia di Ken Koblum, anch'egli ex Squires. Nei locali tipici della Grande Mela i due conoscono Richie Furray (Yellow Springs, Ohio) e Stephen Stills (Dallas, Texas), membri degli Au Go Go Singers, con i quali legano particolarmente. Furay si fa perfino insegnare alcune canzoni da Young, e questo la dice lunga sull'intensità dell'incontro. Ma è solo il primo incrocio. Quattro mesi dopo (febbraio 1966), con la fame dell'esordiente e l'imprevedibilità del genio, Young parte dal Canada a bordo di un carro funebre Pontiac e, in compagnia di Bruce Palmer, suo compagno nei defunti Mynah Birds, fa rotta verso la California in cerca di Stills e di Furay. Pochi giorni di ricerche affannose portano allo storico, casuale incrocio di due automezzi sul Sunset Boulevard, a Los Angeles. Per un pelo la storia non fallisce il suo corso. Dopo alcuni giorni di vane ricerche i due canadesi stanno puntando verso San Francisco con le pive nel sacco, ma fortuna vuole che Stills e Furay, a bordo della loro auto, notino il carro funebre di Young, proveniente dalla direzione opposta.
Il giorno dopo l'incontro per strada i quattro sono già chiusi in una saletta di registrazione a provare. Il batterista lestamente trovato è Dewey Martin, ex membro dei Dillards. Il materiale è già abbondante: alle composizioni di Stills si aggiungono quelle di Young; poi ci sono i pezzi di Furay, meno profilico, ma complementare. Il nome del gruppo è presto trovato: dei rulli compressori che stanno eseguendo un lavoro di asfaltatura sulla strada di fornte alla casa di Furay e Stills in Fountain Avenue recano sui fianchi la targhetta di una marca che diverrà ben più famosa in ambito musicale. I Buffalo Springfield incominciano così ad esibirsi nei locali di maggior richiamo della metropoli, trovando in breve tempo un buon ingaggio al Whisky A Go Go. Leggenda vuole che i soldi per il primo impianto di amplificazione professionale vengano generosamente anticipati da Chris Hillman dei Byrds. Il primo concerto importante è all'Holliwood Bowl come gruppo d'apertura dei Rolling Stones. Le loro esibizioni portano presto alla costituzione di un fedele seguito di fans, grazie anche alle caratteristiche del gruppo e dei singoli elementi che lo compongono. Dal vivo gli Springfield sanno animare l'evento. La scena è più o meno la seguente. Stephen Stills (cappello da cowboy e cravattino di cuoio) e Neil Young (basettoni incredibili, zazzera incolta da pellerossa e giacca di pelle di daino a frange lunghe), prima e seconda chitarra solista, improvvisano volentieri dei veri e propri duelli nel bel mezzo dei brani, scatenando l'entusiasmo del pubblico. Richie Furay (giacchetta aderente o camicia country operata), chitarra ritmica e spesso voce solista, non sta fermo un momento sul palco: si avvicina all'asta del microfono solo per cantare, dopodiché saltella all'indietro per i break solistici dei due soci alle chitarre elettriche. Il suo modo di muoversi sul palco, saltellando sulle punte dei piedi e aggredendo il microfono all'ultimo istante ma sempre in tempo per le sue parti vocali, gli fa guadagnare l'appellativo di "dynamic performer". Bruce Plamer, l'altro canadese, martella il basso volgendo sempre le spalle al pubblico (teme come la peste i funzionari dell'Immigrazione); il pubblico non si accorge che a volte il suo basso ha solo tre corde o che spesso sono quattro corde Mi basso di chitarra elettrica accordate all'uopo, anziché un set regolare di corde di basso. Dewey Martin alla batteria occupa il centro arretrato del palco; il suo battere ritmico ha uno stile alquanto funky che presta l'orecchio alla musica nera e al sound di Memphis. Insomma, una band innovativa e fuori dagli schemi. Lo stile delle canzoni varia parecchio da un brano all'altro, gli arrangiamenti sono fantasiosi, le esibizioni elastiche e i generi plurimi. Come definire i Buffalo Springfield? Certamente folk-rock, ma più rock che folk, però anche soul e rythm'n'blues, e visceralmente country, con degli stupendi interventi di chitarre acustiche amplificate. Il loro eclettismo (forse ispirato dai Lovin' Spoonful) li rende parecchio interessanti. Stills è il più rock e blues, con sotterranee influenze latine, e i suoi brani hanno un andamento ritmico eversivo che prelude all'entusiasmo hippy e alla solarità West Coast che si stanno diffondendo alla costa pacifica al resto degli Stati Uniti. Young è più introspettivo, talvolta surreale, fine cesellatore di ballate e melodie uniche che partendo da un substrato acustico folk scioccano a volte per l'arrangiamento ricercato. Furay è il romantico del gruppo e canta melodico come i Monkees e i Beach Boys e non potrebbe fare altrimenti con il timbro vocale che si ritrova. Nel repertorio, la scelta della voce solista alterna il candore espressivo di Furay al timbro roco di Stills e più di rado al falsetto nasale di Young, mentre in ogni canzone l'apporto corale determina scelte che variano dall'intreccio a tre voci, in stile country, al coro di sostegno o di contrasto, in stile R&B e rock'n'roll. L'impasto strumentale e vocale è sempre vario, variato e variabile. L'imprevedibilità nelle esibizioni dal vivo dei Buffalo Springfield è un fattore che se da un lato li distingue dagli altri gruppi, dall'altro li rende sfuggenti e difficilmente inquadrabili. I loro brani non sono mai scontati o banali. Pur pagando un inevitabile pegno al sentimentalismo adolescenziale, i temi trattati parlano spesso di desideri inespressi e solitudini personali, perplessità esistenziali e riflessioni sui rapporti interpersonali. Anche parlando d'amore, Young e Stills trattano l'argomento in modo alternativo, adeguato alle confusioni generazionali in atto. Tanto Stills è franco e diretto, tanto Young è oscuro e simbolista. Young è disincantato, spesso cinico, spiazzante, ermetico, inafferrabile, eppure insostituibile. Furay fa del candore e dell'innocenza la sua bandiera, ma con sincerità spontanea. Stills elucubra, riflette, spesso in bilico fra la semplice felicità dell'esistere e l'incapacità di farlo sempre in buon rapporto con gli altri, cercando nel ritmo quello che la sola melodia non riesce talvolta a liberare. In sala d'incisione ogni brano viene rifinito collettivamente dando voce prioritaria all'autore.