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Visualizzazione dei post da agosto, 2010
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Crosby & Nash a Roma, 2011: un articolo di Ernesto Assante

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di Ernesto Assante, Repubblica Il pezzo che state per leggere non è un semplice articolo di recensione di un concerto. E’ una confessione, uno sfogo, un analisi. E anche una recensione, in fondo. Lo spunto è il concerto di David Crosby e Graham Nash al Teatro Sistina di Roma, concerto conclusivo di un tour europeo di sei settimane che ha visto i due musicisti esibirsi con successo in Inghilterra, Francia, Germania, e che avrà una coda al Beacon Theatre di New York per tre serate da domenica a martedì. Vecchi ? Sgombriamo il campo da un equivoco che, francamente, ci ha abbondantemente stufato: Crosby e Nash, anche se anagraficamente sono in un età piuttosto avanzata (Crosby ha compiuto settant’anni ad agosto, Nash li compirà il prossimo febbraio), non sono “vecchi”. Di “vecchio” nel loro show, nella loro musica, non c’è nulla. Non c’è niente che sia semplice memoria del passato, nulla che suoni stantio. Vecchio è quello che resta a prendere polvere sugli scaffali dell

Freedom - Rassegna Stampa

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Neil Young è tornato tra noi. This Note's For You lo faceva presagire, ma era troppo presto per capire se il mutevole canadese non ci avrebbe propinato il solito bidone, dopo averci illuso con un disco di buona fattura. Freedom è un buon disco, anche se Neil qui e là vuole strafare, o, ancora meglio, non vuole accontentare più di tanto i suoi fans. Mi spiego. Young fa capire di essere quello di una volta, di sapere mettere assieme delle belle canzoni, delle liriche intelligenti, di fare un discorso gustoso, con pochi strumenti, senza particolari arzigogoli, ma nel contempo, ci dà dentro come un matto in almeno tre canzoni, alzando il distorsore a volume disumano, come per dire “state in campana, adesso suono così, domani...”, quindi arrangia un brano come “Someday”, una composizione indubbiamente accattivante, in modo bizzarro. Già il fatto di avere cambiato il titolo giusto qualche giorno prima della sua uscita sul mercato è sintomo di confusione creata ad arte per lasciare l&#

This Note's For You - Rassegna Stampa

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Neil torna alla Reprise e fa un buon disco: è da Old Ways che il canadese non infilava un disco decente, ed è da Rust Never Sleeps che la critica non gli dedicava pagine e pagine, interviste, recensioni. Young torna ad interessare il pubblico, anche se il disco è completamente diverso da tutto quello che ha fatto in precedenza. È un onesto esercizio di blues, notturno e jazzato, con tanto di fiati e lucide chitarre in evidenza, a dimostrazione del suo eclettismo (ma ormai ne siamo tutti convinti) e della sua voglia di non essere etichettato. Ma This Note's For You mostra anche un musicista disponibile, in forma, con voglia di tornare ad essere protagonista, dopo una serie di dischi e di scelte sbagliate. "Coupe De Ville", "Twilight", "Ten Men Workin'", "One Thing" sono tra le cose migliori. Paolo Carù, Buscadero 1989 Se Life era sfocato, questo, pur nella sua superficialità, è netto, il terzo album “di genere” in cinque anni: un&

Life - Rassegna Stampa

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Non tutti lo ricordano, forse, ma Neil Young è vivo, se non vitale, e ancora miagola le sue canzoni a quanti tra i suoi fedeli sono sopravvissuti all’ascolto delle sue ultime creazioni. Dell’incongruenza di quegli exploit (elettronica, e neanche della migliore, profusa a guarnizione delle sue melodie vetero-country) persino il caro Neil, naif fino al midollo, dev’essersi reso conto: tanto che in questo Life l’ambiente torna semiacustico, o al massimo elettrificato, country amabile o rock secco/spumante, tanto per non scontentare i palati dei suoi vecchi gourmet. A dir la verità, d’incongruenze ne affiorano anche qui, quando Young si affida a ritmiche troppo sostenute e forti, o quando inserisce (con duplice anacronismo) un improbabile organo alla Mike Ratledge su un ostinato rock. Ma il livello medio delle composizioni e degli arrangiamenti è, se non nobile, perlomeno tollerabile: almeno per gli aficionados younghiani, tra i quali certo non possiamo annoverarci. Resta comunque un d

Landing On Water - Rassegna Stampa

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A ciascuno va riconosciuto il diritto d’invecchiare come meglio crede. Però, ciò detto non si può trattenere un modo istintivo di tristezza di fronte alla senescenza tecnologica di un buon artista qual è stato (fu) Neil Young: perché questo suo album è opera chiaramente senile, che tenta di alleviare una desolante carenza d’idee a forza di sintetizzatori e trucchetti elettronici, senza rendersi conto di sprofondare nel più desolante dei luoghi comuni. Povero Neil. Molto s’è scritto contro i gruppi che ripetono sé stessi anno dopo anno, ciclostilando sempre lo stesso disco con titoli diversi; ma che dire allora di fronte a un tal patetico tentativo di rinnovamento? Il problema dell’album sta già della concezione. Le melodie, le armonie, i tratti stilistici di base sono sempre i soliti. Ma questo vino vecchio è travasato a viva forza nelle botti d’un arrangiamento che pare la caricatura di Thomas Dolby: ritmi spezzati di batterie più o meno automatiche, sintetizzatori usati a proposit

Old Ways - Rassegna Stampa

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Non sembra vero, ma dopo due disastri come Trans e Everybody's Rockin', il loner canadese, che abbiamo lungamente amato nel corso della precedente decade, è tornato al massimo della sua forma. Al terzo tentativo per l'etichetta di Mr. Geffen, Neil Young centra finalmente un bersaglio, fatto che non gli accadeva ormai da vari anni, Comes A Time e Hawks & Doves le ultime opere degne di nota, e lo fa con un disco lucido, bello e compatto, forse non al livello dei suoi capolavori di sempre (Harvest, After The Gold Rush ma anche Zuma, Tonight's The Night e il sottovalutato On The Beach), ma decisamente positivo sotto ogni aspetto. Già il titolo è sintomatico, quindi la splendida copertina agreste, che ci introduce nuovamente nel particolare microcosmo del canadese, con le sue ballate, il suo cantato unico, composizioni giuste ed atmosfera perfetta. La visione (revisione) della musica principe americana, cioè la country music, è fatta dal canadese con intelligenza, coi

Trans - Rassegna Stampa

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Trans segna un orientamento completamente differente quanto alla forma musicale delle canzoni di Neil Young. Se egli è restato fedele alla sua nomea di “loner”, i quattro anni di silenzio gli hanno permesso di scoprire le meraviglie del sintetizzatore. Egli sembra avere un piacere immenso nello scoprire tutte le forme dell’utilizzazione di questo strumento e soprattutto le manipolazioni più strane della voce attraverso il vocoder. Si sapeva già, grazie al suo lavoro con i Devo, che Young aveva un certo debole per la musica elettronica. In Trans sembra che egli sia riuscito ad accostarsi a questa nuova materia senza perdere di vista il suo scopo finale. L’effetto potrà essere disastroso ad un primo ascolto, ma alla lunga ci si lascia sedurre dal suo charme. Young ha mantenuto intatto il suo spirito corrosivo in canzoni come “We’r in control” o nella riuscita “Computer cowboy” e non gli si può rimproverare di aver tradito le radici della sua ispirazione. All’ascolto di Trans comprend

Hawks & Doves - Gli articoli di Ciao 2001

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Profumo di West Coast, nonostante tutto. Young è uno dei pochi, si contano sulle dita delle mani, dei vecchi eroi del rock country dei primi Settanta ad aver resistito all’usura del tempo e delle mode: e questo Hawks & Doves, pur mantenendosi nelle linee risapute del sound californiano acustico-elettrico, lo conferma. Il canadese non inventa nulla di nuovo, questo no, ma quello che canta e suona è un delicato, brillante ripescaggio di atmosfere che oggi, nell’imperversare del nuovo hard rock e della new wave e nel riflusso canzonettaro, credevamo proprio di aver perso per sempre. Neil invece sopravvive anche al pericolo del mito ripetuto ed i dolcissimi gorgheggi, i delicati accordi delle chitarre western, il ritmo soffuso e pacato, non sembrano tenere il confronto con le accelerazioni speed dell’ultima ondata o con gli esotismi reggae, pur se il rischio esiste soprattutto nel lato 1 dell’album dove i climi malinconici e rarefatti risultano forse un po’ troppo datati (“Little wi

Hawks & Doves - Rassegna Stampa

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Neil Young aveva intitolato la sua ultima fatica di studio Rust Never Sleeps, cioè “la ruggine non dorme mai”. il suo nuovo album appare inciso con la stessa consapevole convinzione. Non bisogna mai fermarsi, farsi prendere dalla stanchezza, ma ci si deve continuamente rinnovare, pur rimanendo fedeli a sé stessi e alle proprie convinzioni. Così questo Hawks & Doves, che ha preso a girare sui nostri piatti nelle grigie giornate di un autunno inoltrato, ancora una volta propone uno Young diverso dall’ultimo ascoltato. E ciò oltre che segno della sua positiva irrequietezza è anche prova ulteriore della sua riaffermata genialità. L’elemento di novità non è al solito, drammatico né rivoluzionario, tuttavia chiaro e netto. Il disco infatti è diviso in due parti, ma accanto a una di folk acustico – e fin qui è ricalcato lo schema di Rust Never Sleeps – ne pone un’altra di country elettrico che si stacca nettamente dai ritmi aspri e duri della seconda facciata dell’LP appena ricordato.