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Crosby & Nash in concerto: Torino 2005



Crosby & Nash, il ritorno dei vecchi leoni del rock

Anni 60, California dreamin'. Musica estatica e dolcissima, armonie vocali struggenti, rifiuto dell'America che combatteva in Vietnam. Rifugio nelle chitarre, fra profumi di marjiuana. Questa è la formazione più elastica che si ricordi, una fisarmonica che in 40 anni è passata dal quartetto (raro) al trio, al duo che ora sta girando l'Italia per far conoscere il doppio disco inciso l'anno scorso, il dignitoso «Crosby & Nash», che ripercorre senza stufare le loro inconfondibili atmosfere. Hanno cantato l'altra sera per un esaurito di appassionati al Colosseo di Torino, e per il prossimo luglio si aspetta (a Lucca, Brescia e in altri luoghi da definire) il trio con Stephen Stills: doveva esserci anche Neil Young e in Europa non vengono tutti insieme dal 1974. C'era da combinare dei pienoni a scatola chiusa, la Telecom pensava di farci il solito evento spettacolare romano. Invece Neil Young ha detto di no e per una volta ancora non se ne fa nulla. Ma la sorprendente tenuta di questi ragazzi ormai in terza età è acclarata e lo dimostra il tour in corso, così come la breve esibizione di domenica a «Quelli che il calcio» (bravo Gene). Dovevano anche andare a Sanremo, gli hanno preferito Lola Ponce che ha esibito argomenti non musicali. Peggio per il Festival. Nash è il volto saggio della compagine. Tonico, magro, spiritoso, lucido nella regia musicale di una sorvegliatissima serata che ha regalato attimi magici. Se ne sta alle Hawaii («Quando mi affaccio alla finestra di casa vedo centinaia di piccole cascate sulla destra e tutt'intorno l'oceano, mi riesce sempre più difficile capire il mondo») ed è un po' lo storico protettore morale di Crosby. Che invece con il suo pancione, i lunghi boccoli e i baffoni bianchi, alle spalle due trapianti di fegato e innumerevoli denunce per alterazioni e stravizi vari, una figlia avuta dalla lesbica rock Melissa Etherige alla quale ha donato volentieri il seme, resta il simbolo più proprio di un'epoca di genio e sregolatezza. Ma in barba al fisico malandato, David è ancora un pilastro vocale. Quando apre bocca, ogni momento del concerto acquista forza e luce. Al Colosseo è arrivato in piena sindrome influenzale: con il più saggio amico, ha subito scaldato gli animi dall'attualissima «Military Madness» alla fortunata «Marrakesh Express», e sembrava un leone mentre metteva la sua voce su «Long Time Gone»; però poi ha cominciato a scomparire per lunghi minuti dal palco e tornare solo nel finale. «I'm sick», gemeva a voce alta mentre attraversava il palco. Verso la chiusura ha avuto un soprassalto di orgoglio, ed è rimasto tetragono al microfono a far fiorire gemme come la propria «Critical Mass», seguita da «Wind on The Water» di Nash, una specie di vetrina dei rispettivi stili. Tutto il pubblico ha cantato in coro, in chiusura, «Teach Your Children Well». Fra lontani effluvi di Beach Boys e incantevoli armonie strumentali, anche l'intesa vocale dei due è notevole, pari a quella dei Simon&Garfunkel dei tempi d'oro: con la differenza che qui il fiato è rimasto ad entrambi. La band è di prima qualità, il chitarrista Dean Parks è un tritanote (partecipò ad «Asia» degli Steely Dan), il giovane tastierista James Raymond è anche autore di alcuni dei brani di questo ultimo disco. Graham Nash, che è anche un eccellente fotografo, ha appena terminato di curare un'antologia sonora di Crosby Stills&Nash di prossima uscita: «L'abbiamo dedicata a Cass Elliott dei Mamas&Papas. Ci conoscemmo proprio a casa sua nel '66, e cominciammo a scrivere canzoni». Ricordi, morti, memorie. Ma questa musica sembra più viva di tanto materiale scritto ieri. Ultima data del tour: 10 marzo Roma.
La Stampa


Eccoli qui. Ancora insieme, dopo tutti questi anni. Lunedì 7 marzo sono in concerto a Torino. Teatro Colosseo, via Madama Cristina 71, Biglietti a 26, 22 e 16 euro più diritti. Prevendite da Ticket One, Box Office e cassa del teatro. Organizza l’agenzia Duende. Questi i dati. Loro due, i protagonisti. Loro due, per la prima volta in coppia in Italia. David Crosby e Graham Nash. Memoria di tutti i nostri ieri. Crosby & Nash furono una zattera, nel mare degli Anni Settanta, a cui ci aggrappammo dopo il naufragio di Crosby, Stills, Nash & Young. Il rock ci aveva illusi e traditi, facendoci balenare due dischi da sogno come «Déjà Vu» e «Four Way Street» per avvisarci subito dopo che la festa era finita, quei quattro insieme non li avremmo ascoltati più. Fu un grande dispiacere, uno squarcio nel nostro immaginario californiano; con la piccola consolazione che comunque qualcosa restava, se è vero che il Mistico (Crosby) e il Semplice (Nash) avevano deciso di continuare senza gli altri. Ricordo l’emozione per il primo disco insieme, 1972, e le voci favolose che si rincorrevano a proposito dei concerti Usa che purtroppo non arrivarono mai da noi. Gioia, ma ancora una volta delusione; perché dopo quell’album ci fu un altro buco, quattro anni, e quando la storia riprese con «Wind On The Water», 1976, era cambiato tutto il mondo e noi. Eravamo diventati esigenti, anche snob, e 35 anni, quanti ne avevano allora i due, sembrava l’età di Matusalemme. Roba da matti, no? Fate il confronto con certe anagrafi di oggi e venitemi a dire. Insomma, avevamo voglia di dimenticarceli, forse di punirli per i sogni infranti; e loro ci aggiunsero qualcosa, gli sciagurati, perdendosi nelle loro crisi. Nash si
salvò con la consueta modestia ma Crosby rotolò per i gradini rovinosamente. Gli Anni Ottanta per lui furono un calvario, vide letteralmente la morte in faccia. Ne uscì chissà come e per miracolo ritrovò la sua vena più dolce, e scoprì che droga e alcol gli avevano straziato il corpo ma non la voce, prodigiosamente intatta. Tornò a fare musica, e non da sopravvissuto. Gli Anni Novanta sono stati un decennio felice, creativo, grazie al sodalizio con il chitarrista Jeff Pevar e il pianista James Raymond (che fra l’altro è suo figlio); e il trend positivo è continuato nel nuovo millennio, con un buon disco come «Just Like Gravity» ed esibizioni regolari. E Nash? Lui si è sempre mosso con più cautela, e pigrizia. Pochi show, una vita appartata, un disco nel 1986 e un altro nel 2002 non certo uno stress. Adesso, alla tenera età di 63 anni, ha deciso di darsi una mossa; scrivendo un po’ di canzoni per il doppio cd che Crosby e Nash hanno pubblicato nei mesi scorsi, e accettando la sfida del ritorno in scena, e approfittando dell’uscita del disco per proprsi come improbabile coppia di candidati alle elezioni presidenziali dello scorso novembre. Non sono arrivati alla casa Bianca: però hanno l’aria di divertirsi, e la certezza di non dover dimostrare niente a nessuno. Tutti sanno di che pasta è la loro musica, di che sogni e ricordi è intrecciata, e con il tempo gli esigenti ragazzi degli Anni Settanta sono diventati comprensivi. Se nostalgia è una parolaccia, diciamo che è una ricerca del tempo perduto; e di una musica, di un fine artigianato folk rock diventato raro come un panda nelle foreste cinesi. E poi, che bello, nessuno ormai guarda più alla carta d’identità; e come Bob Dylan in quella sua canzone, David Crosby e Graham Nash possono sentirsi «più giovani oggi di tanto tempo fa».
Riccardo Bertoncelli

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