Elia Perboni, Music 1982
Paolo Carù, Buscadero 1989
[…] La decade degli anni Ottanta si apre con la notizia di nuove incisioni e ritrovata energia, poi, verso la fine del 1981, esce Reactor, un disco elettrico, forte, pieno di immaginazione. Naturalmente i bei tempi sono passati e Young somiglia più ad un fantasma che a un rock 'n' roller, ma nonostante tutto la sua è ancora una musica che corrode. “Sono nato per il rock” canta Young in “Opera Star” e gli si deve credere per forza, in lui c'è un fondo di amarezza e le chitarre distorte, i cori sgangherati, la ritmica che macina senza sosta sottolineano storie di disperazione.
Il pubblico più giovane lo prende in simpatia; potrebbe essere un qualsiasi padre con un mucchio di errori alle spalle. I più arrabbiati, anche tra i giovani musicisti, lo vedono come un principe della notte, un arrabbiato senza sosta. […] Neil è di quelli che, completamente da parte, non riuscirà mai a mettersi.
La grande enciclopedia del Rock
Il momento non è dei più felici, umanamente e artisticamente, ma, considerato quel che sarebbe successo per il resto del nuovo decennio, non si può certo reputare Re-ac-tor il disco più stravagante di Neil Young. Dopotutto, ci sono i Crazy Horse e non cambia il rodatissimo team produttivo, ma è proprio l'ispirazione a latitare, risolvendo il tutto – per una volta, registrato in un solo posto in soli sette giorni – in un malloppone hard-rock o hard-blues o hard-qualcosa senza capo né coda. Le canzoni suonano grosse ma scarsamente incisive, fragorose ma inanimate, come se per generare il rumore Young si fosse limitato ad alzare il volume anziché estrarlo “da dentro”. Spira un'aria di gelo, di immobilità, nonostante i ragazzi della band si sgolino per tenere il passo del cantante, che sembra girato da un'altra parte. In “T-Bone” riesce a ripetere per quasi dieci minuti “Got mashed potatoes/Ain't got no t-bone”, vale a dire “c'è il purè di patate, ma non c'è la bistecca”. Surreale, ma nient'affatto divertente.
Mucchio Selvaggio Extra 2004
E allora se i dischi sono fatti anche di dettagli come le cover e tutto ciò che vi è scritto sopra, anche Re-ac-tor acquista un senso nuovo se lo si legge partendo proprio da questa preghiera.
Marco Re
Il 1981 […] porta l’ennesima sferzata di stupore, mista a irritazione, fastidio, con la schiera di youngofili disposta nuovamente a dividersi e fronteggiarsi davanti alla mutazione del mito. Il nuovo album si chiama Reactor, in copertina un tratto secco, dove nel cuore di una figura nera si staglia un triangolo rosso vivo.
Reactor, è bene dirlo, è l’esaltazione della maschera younghiana, uno scroscio incontrastato e forse incomprensibile di rock in decomposizione, con i Crazy Horse impegnati a condurre il gioco con i muscoli in piena azione e Neil pronto a ricordarsi del suo amore per Hendrix e infilare una serie di distorsioni, di suoni ineducati tra i solchi di quel vinile incandescente. Pezzi come “T-Bone” e, sopra a tutti, “Shots”, che chiude la seconda facciata, sono pugni nello stomaco, dalla forza d’urto impressionante che sprigiona insidie e sventagliate di decibel tiranni in rapida sequenza. Sul retro di copertina, dove risultano pochissime note, campeggia una scritta in anacronistico latino: “Dio, dammi la serenità di accettare le cose che non posso cambiare, la forza di cambiare quelle che posso e la saggezza di saperle distinguere tra loro”, secondo un’etica struggente che si scontra pesantemente con il sapore di musica al napalm che si diffonde tutta intorno.
“Bisogna cambiare sempre: magliette, vecchie amanti, qualsiasi cosa”: così aveva detto un giorno lontano Neil Young e questo sembra essere diventato il suo insegnamento. D’altronde l’inutilità dell’attesa, l’ineluttabilità del destino Young le aveva già cantate ai tempi di Tonight’s The Night: “Sono stato giù per la strada e quando sono tornato, fischiettando con un po’ di tristezza lungo la ferrovia, non ho ritrovato nessuno di quei sentimenti che avevo” – un segnale sufficientemente disincantato e disilluso.
[…] Reactor, a dispetto di quegli avvoltoi che ne hanno scritto volteggiando lugubremente, è una miccia rimasta accesa, non gli ultimi bagliori di un crepuscolo ma piuttosto un avamposto degli uomini perduti.
da Enzo Gentile, introduzione a “Neil Young” (Arcana 1982)