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Crosby/Nash (2004) - Rassegna Stampa (parte 2)


Si sono lasciati e ritrovati, come quelle vecchie coppie con alle spalle una lunga storia di litigi, separazioni e clamorosi ritorni. In gioventù si sono battuti per nobili ideali, sono stati sulla bocca di tutti, si potrebbe dire che hanno praticato l’amore libero, facendo sesso a tre (con Graham Nash) e a quattro (con Neil Young). Oggi cercano di continuare con un’attitudine più saggia e sensibile, maturata con l’età, godendo di quanto la vita può ancora loro riservare. Si sorreggono l’un l’altro David Crosby e Graham Nash, ma, proprio come a dei vecchi amanti, procedono più per abitudine, per amicizia: manca la scintilla, la passione che emoziona. Questa è è la loro ultima fatica, un album doppio acclamato dalla stampa e presentato come quel disco impegnato e sentito che questi musicisti non facevano da tempo. Non è così: queste venti tracce non raggiungono le vette del passato e nemmeno si avvicinano ai (pochi) picchi sfiorati negli ultimi tempi con i loro altri compagni. “Crosby & Nash” è un disco di buone intenzioni, non è brutto come altri tonfi che sono intercorsi in una carriera più che longeva, ma vive di classe, di un gran suono e di esperienza: si regge su tanto, troppo, mestiere che i due avranno ormai mandato a memoria, come un atteggiamento che, dopo tanti anni, si impara a ripetere per convivere con l’altro. Questo è probabilmente il massimo di quello che Crosby & Nash possono dare oggi, accompagnati da musicisti e da una produzione di gran valore. Non si può dire che le voci, gli arrangiamenti e i suoni non siano di qualità: è un lusso sentire le chitarre acustiche e le percussioni suonare così bene, ma queste non bastano senza quei guizzi, quegli sguardi che hanno animato tanta loro musica. Addirittura le canzoni e le armonizzazioni vocali che sono state il loro carattere distintivo si perdono in un manierismo spesso imbarazzante: C&N sono del tutto scontati quando cercano di fare rock (“Luck dragon”, “They want it all”) e scivolano nel retorico quando si lanciano in un omaggio al compianto Michael Hedges. Qualcosa si salva, come l’iniziale “Lay me down”, ma è troppo poco, irrilevante come la presenza di James Taylor, anche lui imbolsito da tempo. Si può solo apprezzare la profusione di buone idee che C&N mettono nelle loro canzoni, umanitarie, ecologiche, pacifiste, anti-governative: queste non sortiscono però l’effetto voluto senza la necessaria fantasia artistica. Inutile dire che due dischi sono troppi: anche sfrondando le canzoni, un cd unico non avrebbe comunque goduto di un gran miglioramento, perché i brani sono fiacchi e prevedibili tanto nell’interpretazione quanto nella struttura. Alla fine, anche un pezzo di un certo interesse strumentale e corale come “How does it shine” è condizionato dall’andamento del disco e obbliga a ricordare ben altre suites del passato: quello che C&N ci lasciano è solo il rimpianto di come si era una volta. 
Christian Verzeletti, Mescalina.it

*Ho amato follemente questi due signori. Perciò, non posso che rallegrarmi del fatto che David Crosby abbia scritto nel 1970 una meraviglia di canzone come Almost Cut My Hair e che a tutt'oggi, 34 anni dopo, non si riscontrino ancora i significativi effetti del parrucchiere sulla sua testa, ancora lungocrinita sebbene incanutitasi rispetto ai tempi di Déjà-vu. Allo stesso modo, non può che intenerirmi il constatare come, dopo aver debuttato in proprio col luminoso Songs For Beginners ('71), Graham Nash abbia trovato la forza, lo slancio, la temperata amarezza necessarie per scrivere e cantare un Songs For Survivors ('02) assai onesto nei confronti delle sconfitte e dei cambiamenti subiti a tanti anni di distanza. Tuttavia, a differenza di quello, il nuovo album di Crosby & Nash, generalmente accolto con ululati di giubilo dalla critica, non mi sembra altrettanto sincero nei confronti della storia, sia di quella personale degli autori che l'hanno realizzato, sia della particolare contingenza sociale e politica che tutti siamo chiamati ad affrontare. Intendiamoci. Al credo politico degli artisti, al loro spirito democratico o alla loro ferma opposizione a Bush, aderisco io stesso con convinzione. Né, da un punto di vista più strettamente critico, si possono muovere eccessivi rilievi a un disco, suonato con infinita eleganza da Russ Kunkel (tamburi), Leland Sklar (basso), James Raymond (tastiere), Jeff Pevar e Dean Parks (chitarre), dove trovano spazio la classicità rock senza tempo di Penguin In A Palm Tree (bellissima), l'asciutto intimismo del traditional My Country 'Tis Of Thee (davvero riletto col cuore in mano), un'eccelsa Jesus Of Rio con James Taylor, il commosso omaggio al virtuoso Michael Hedges di Michael (Hedges Here) o le pastellature intimiste d'una I Surrender scritta da Marc Cohn. Eppure, questo è un lavoro piantato anima e corpo nel passato. Per formato, perché si tratta di un doppio album che avrebbe comodamente riempito un singolo cd. Per le metafore che veicola, tutte vecchie e di seconda mano. Cioè, voglio dire, una Wooden Ship (cui rispose peraltro con grande intelligenza il Jackson Browne di For Everyman) poteva andar bene appunto trent'anni fa; ascoltati oggi, i giri di parole di Puppeteer o Luck Dragon non incuriosiscono nemmeno il fan più accanito, figurarsi l'ascoltatore distratto. E poi, spiace dirlo, ma ascoltare il vecchio Croz, pluricondannato per possesso di sostanze stupefacenti e armi da fuoco, mentre canta versi come "we're full of shit that kills our babies" fa solamente sorridere, con grande malinconia e per i motivi sbagliati. Non sempre il tempo, con gli uomini e con gli ideali, sa comportarsi da galantuomo.
Gianfranco Callieri, Rootshighway.it


Trentasei anni fa David Crosby, transfuga dai Byrds, incontrava Graham Nash, membro degli appena scioltisi Hollies, e con Stephen Stills, fresco reduce dall'esperienza dei Buffalo Springfield, dava vita a una collaborazione che avrebbe fornito diversi capitoli alla storia della musica contemporanea, compresi quelli con Neil Young come "quarto uomo". Oggi, a 36 anni dalla prima esperienza come coppia (Graham Nash - David Crosby del 1972) e a 28 anni dall'ultima (Whistle down the wire), i due hanno deciso di rinfrescare il sodalizio e dare alle stampe un nuovo album, doppio e intitolato semplicemente Crosby-Nash. In effetti, sembra che il tempo non sia mai passato: dall'iniziale "Lay me down" fino alla conclusiva "My country 'tis of thee", il cuore delle loro composizioni resta costruito su testi introspettivi e sognanti, cantati su melodie limpide impostate su una base prevalentemente acustica che richiama spesso quel folk della "West Coast" americana che furoreggiò negli anni '70. Certo, ogni tanto affiorano chitarre rock più aggressive e anche i testi si fanno meno idilliaci fino a trasformarsi in vere e proprie accuse sociali e politiche, come in "They want it all", indirizzata ai signori delle multinazionali stile Enron, o come in "Don't dig here", feroce critica del progetto di interramento di scorie nucleari a Yucca Mountain, ma gran parte del disco potrebbe essere costituito da "outtakes" delle loro prime registrazioni di fine anni '60 . Qui, in sostanza, sta il bello e il brutto dell'album, nel senso che lo si potrà apprezzare per la classe e l'eleganza delle composizioni e degli impasti vocali che richiamano al tradizionale stile "Crosby & Nash", così come, d'altro canto, lo si potrà criticare proprio per la mancanza di originalità, intesa come innovazione. Pretesa per la verità inutile: sarebbe come chiedere a Lou Reed di fare "dance" o a Paul McCartney di suonare "nu metal". Partendo da questi presupposti, pur non raggiungendo le vette assolute di altri episodi del passato, l'album è indubbiamente apprezzabile: Crosby-Nash è un disco ben cantato, suonato con classe e prodotto con stile, fino a poter ricordare a qualche ragazzino come il "NAM", il "New Acoustic movement", e mode affini abbiano radici lontane e come qualche star d'annata sia ancora in grado di dare qua e là delle lezioni alle nuove leve che si propongono anche oggi ai piani alti delle classifiche. Dove questo Crosby-Nash non sfigurerebbe assolutamente.
Federico Ferri, Virgilio.it


Un suono che è la pietra di paragone dell’era del rock ‘n’ roll. E’ quello di Crosby e Nash, duo di cantanti che continua a portare avanti la sua eredità di brani senza tempo con esecuzioni indelebili, ma anche a produrre nuove ed impareggiabili armonie. L’anno scorso - dopo quasi trent’anni dal loro ultimo progetto insieme - è uscito il nuovo disco di materiale tutto inedito intitolato “Crosby-Nash”. Melodie con la sensibilità d’oggi ma che suonano antiche di cent’anni: delicate cameriere che con la loro gentilezza portano un po’ di felicità nella vita di tanta gente, ritmi scritti per la nascita dei loro figli ma anche il tragico disastro nucleare. Di tutto questo parleranno Crosby & Nash suonando dal vivo le nuove venti canzoni, nelle quali hanno sempre mantenuto i loro stili diversi ma complementari che uniti insieme hanno fatto di loro una leggenda di ogni tempo. “Lavorare ancora insieme è stato molto strano ma meraviglioso – ha detto Nash. Tutto è risultato così facile, sembrava come se avessimo sempre portato con noi quello che avevamo lasciato 28 anni fa”. Il tempo infatti non ha scalfito le loro fantastiche capacità vocali né la loro maestria nel comporre canzoni intimiste e commoventi. Il loro ultimo lavoro infatti, è stato arricchito da un’amicizia cresciuta nel tempo e da una maturazione artistica condivisa nel corso degli anni. Nash continua a sottolineare che il merito va anche alla schiera di musicisti coinvolti nel progetto: “Sono stati meravigliosi, ed è grazie a loro che siamo riusciti ad accorciare la distanza fra le nostre menti e la musica – ha spiegato. Abbiamo avuto accanto una serie di veterani del rock di prima categoria Dean Parks e Jeff Pevar alle chitarre, Leland Sklar al basso, Russ Kunkel alle percussioni e James figlio di Crosby alle tastiere”. David Crosby e Graham Nash si sono incontrati per la prima volta nel 1968 quando Crosby aveva appena prodotto l’acclamato debutto di Joni Mitchell e continuava a collaborare con Stephen Stills. Invitarono Nash ad ascoltare due canzoni che Stills stava scrivendo “Helplessly Hoping” e “You don’t have to cry”. Nash provò a cantare i due brani insieme a loro e da subito si instaurò un feeling indistruttibile. Crosby ricorda: “pensai di morire e che il cuore mi saltasse dritto in gola. Era la cosa più meravigliosa che avessi mai ascoltato”. Pensò lo stesso anche il pubblico che decretò il successo del loro trio CSN (Crosby, Stills, Nash). L’album del loro debutto nel ’69 vinse il Grammy come miglior nuovo artista e fece la storia della musica a Woodstock. Invece il primo progetto che Crosby e Nash fecero da soli è stato il disco “Crosby & Nash” che 1972 ha lanciato l’hit “Immigration Man” (per settimane nella Top 40) ma anche il classico intramontabile “Southbound Train”. Sono seguiti “Wind on the water” nel ’75 e “Whistling down the wire” nel ’76. Da allora più nulla, fino al ritorno dell’anno scorso con l’album che adesso portano in tour.
Susanna Ascenzi Barberini

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