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Are You Passionate? - Rassegna Stampa pt.2


Neil Young. La storia (americana) siamo noi.

Il cantautore canadese racconta le attuali disgrazie del gigante americano, tradito dalle sue stesse certezze come lo fu il generale Custer a Little Big Horn. È da poco uscito il suo ultimo lavoro Are You Passionate?
La storia, da sempre un'attrazione fatale per Neil Young. Forte in lui il desiderio di esprimere nelle canzoni le perversioni del potere, i genocidi perpetrati per desiderio di conquista, l'assenza di scrupoli della civiltà dominante verso le minoranze. Pagine di storia lontane nel tempo, eppure dal perpetuo valore emblematico. Dopo i tragici eventi di settembre, Neil non ha resistito alla tentazione di cantare invece le attuali disgrazie del gigante americano, tradito dalle sue stesse certezze come lo fu il generale Custer a Little Big Horn. Ed è proprio al mito del generale sconfitto dai pellerossa che Neil attinge in “Goin' Home” per leggere a suo modo quanto è avvenuto. Si tratta del brano centrale del nuovo album Are You Passionate?, spartiacque tra le tranquille intimità della prima parte del disco e le inquietudini irrisolte che lo chiudono. Lungi dall'essere un mero tributo alla black music - come ha scritto qualcuno - Are You Passionate? è invece un concept atipico, in cui non sono le canzoni a essere legate da un filo tematico, bensì i sentimenti a raccontare la storia. Il nuovo lavoro di Neil Young è il disco più significativo, centrato ed espressivo del dopo 11 settembre. Scorticando la patina sonora, indugiando sulle foto della confezione, riflettendo sulla sequenza delle canzoni e lasciando correre i pensieri dietro le immagini evocate dalle liriche, si ha la sensazione di avere tra le mani il dipanarsi di un percorso. Sono gli interrogativi di un uomo assorto nella contemplazione del suo passato, risvegliato dalla repentina rivelazione del male e che finisce col guardarsi intorno alla ricerca di un riferimento, un appiglio a cui aggrapparsi in attesa del suo ultimo giorno. Ed è sorprendente il modo in cui Neil Young abbia scelto di esprimere tutto questo. Musicalmente, Are You Passionate? è intriso del vibrante soul marchiato Stax. E non potrebbe essere diversamente, se ad accompagnare il grande canadese ritroviamo addirittura la sezione ritmica di Booker T. and The MG's, bandiera della storica label di Memphis: Booker T. Jones all'Hammond e Donald Duck Dunn al basso, a cui si aggiunge Steve Potts, batterista degli MG's dal '94. Completano i ranghi il chitarrista Frank "Poncho" Sampedro, fedelissimo di Neil, Pegi e Astrid Young ai cori e Tom Bray alla tromba. Neil si immerge nel soul per toccare altissime vette di lirismo, fondendo in modo naturale il suo "bianco" falsetto e lo splendido protagonismo della sua chitarra elettrica con i pastosi ed eccitanti incastri ritmici degli MG's. Perché il soul? Probabilmente, Neil Young ha utilizzato quell'estetica per ricollegarsi al patrimonio interiore che essa esprimeva: sogni e piccole emozioni quotidiane, che rivivono in particolare nei primi brani di Are You Passionate? per poi subire mutazioni inquietanti nel prosieguo. Nell'iniziale “You're My Girl”, Neil mutua il riff di “I Can't Turn You Loose” di Otis Redding per confessare le paure di un padre conscio del prossimo distacco dalla figlia, ormai adulta. È il rimpianto, invece, il tema delle successive “Mr. Disappointment” e “Differently”. Nella prima, assorta ballata, un dimesso Neil Young sussurra, con un registro insolitamente basso, di occasioni perse, momenti non vissuti appieno, una vita chiusa in un guscio difficile da rompere. Da brivido l'impasto tra l'Hammond e il cristallino assolo elettrico di Neil. E quanti errori non sarebbero più commessi se si potesse tornare indietro: "Differently, ti chiederei di uscire tutte le sere... apprezzerei le cose che mi hai dato...". “Quit (Don't Say You Love Me)” rappresenta la speranza di futuro per un amore compromesso: "Non considerarmi fuori, posso ancora darti tanto, potrei sorprenderti con tutto quello che può ancora portarci il nostro amore. Non ti lascerò mai, anche se mi lasci". La prima parte dell'album fotografa questo campionario di piccole paure. Ben altre angosce sono in arrivo. Dolcezza e nostalgia se ne vanno in dissolvenza per far spazio a “Let's Roll”, maestosa, pinkfloydiana ode agli "eroi" che si ribellarono ai dirottatori sull'aereo precipitato a Pittsburgh. Il cellulare che squilla, gli ultimi pensieri rivolti ai cari, la decisione è presa: "Devi voltarti verso il male quando ti insegue, devi affrontarlo, e quando prova a nascondersi non devi dargli tregua...andiamo dietro a Satana sulle ali di una Colomba". Il mondo è malato, una repentina presa di coscienza induce l'uomo a guardarsi allo specchio. Nel toccante terzinato di “Are You Passionate?” Young sembra farsi un esame di coscienza a tempo di sognante doo wop: "Hai davvero vissuto come racconti? Ti senti negativo? In un mondo che non smette di voltarsi verso di te? Ne avrai mai abbastanza? Una volta sono stato un soldato, combattevo nel cielo... mi tuffai nell'oscurità e lasciai partire i miei missili. Potrebbero essere state le uniche cose che ti hanno mantenuto libero... Una volta sono stato un prigioniero, viaggiavo in un truck, ripulito per essere mostrato in pubblico...". Ed ecco finalmente Neil allungare lo sguardo verso la storia e chiamare a raccolta i suoi Crazy Horse per un unico brano, “Goin' Home”, un'autentica zampata. Per quasi nove minuti risuonano i tamburi di guerra Sioux, il generale Custer si erge sulla collina, gli indiani sono intorno a lui. Mentre le chitarre elettriche sferzano i solchi, "un vento fortissimo percorre il campo di battaglia, lambisce gli edifici, taglia le strade e le culture...". Come non rivedere in quell'immagine l'America assediata, il presidente Bush impugnare il megafono e parlare ai volontari dalla "collina" delle macerie a Ground Zero, in una giornata cupa, mentre i venti di guerra tornano a spirare su un mondo incapace di capirsi: "Me ne vado a casa...". Torna un apparente sereno in “When I Hold You In My Arms”, Booker T. e Dunn riprendono la loro tessitura, Neil candidamente annuncia che mentre "palazzi nuovi vanno su e palazzi vecchi vanno giù, faremo esplodere il pianeta come una vecchia periferia". A questo punto, la trascinante “Be With You” indica l'unica via d'uscita in un tipico tema soul: imparare a vivere basandosi su piani di vita semplici, veri, e soprattutto trovando il vero amore. Perché non c'è più speranza di cambiare il mondo e Neil Young chiama addirittura Dio a dirlo a chiare lettere nella "parabola" “Two Old Friends”. Lo incontra al Golden Gate: "Signore, ho sognato un tempo in cui amore e musica saranno dappertutto. Riesci a vederlo?", "No - risponde Dio - quel tempo è ormai andato. Il mondo è cambiato da quando ci incontrammo la prima volta, e la Band suonava Rock Of Ages". L'ultimo sigillo spetta al notturno blues elettrico di “She's A Healer”: chitarra libera di andare tra punteggiature d'organo e ipnotico giro di basso, quando solo "il tocco della mia donna può calmare la mia anima". In chiusura, merita un cenno il corredo grafico di Are You Passionate?, in cui Neil sembra aver voluto disseminare gli indizi giusti per districarsi tra i temi di questo splendido album. In copertina, una rosa rossa e la foto ingiallita di un tenero abbraccio tra uomo e donna, amore e passione poggiati sulla stoffa di una militare tuta mimetica. Aprendo l'album, ecco un cielo azzurro solcato da candide nubi, immanente, rassicurante. Si ritrova lo stesso cielo nel foglio dei testi: stavolta è visto da un interno, prigioniero delle finestre di un grattacielo. Ma i veri prigionieri sono dentro: nella stanza, la band suona avvolta in una sorta di fuliggine grigio piombo che sembra corrodere tutto, rendendo irriconoscibili i visi dei musicisti. A lato dell'immagine, una sinistra ombra ricorda la coda di un aereo. Sono i simboli meditati di un rock senza tempo. Il rock di Neil Young.
Paolo Gallori


Personaggio imprevedibile, il vecchio grizzly. Questo lo sanno tutti, non solo quelli che lo amano e lo seguono da decenni ma anche i neofiti, magari incuriositi da un rosario di partnerships (Sonic Youth, Chrissie Hynde, Willie Nelson e Pearl Jam tra gli altri) che non cessa di stupire per eclettismo e fecondità. Tuttavia, da qualche anno e qualche disco a questa parte, gli azzardi del loner canadese hanno ripreso a suscitare dibattiti anche presso lo zoccolo duro dei fans. Trovandosi spiazzati, alcuni di loro paventano addirittura una regressione delle mosse discografiche del nostro allo stato confusionario della prima metà degli anni ’80. Ricordate? Il grizzly, dopo il fenomenale dittico composto da Rust Never Sleeps (1979) e Live Rust (1979), aveva abbandonato il sicuro approdo della Reprise in favore dell’agguerrita compagnia di David Geffen, sotto la cui egida iniziò a pubblicare dischi irrisolti, claudicanti e poveri d’ispirazione, tanto generosi nelle intenzioni quanto miserandi nei risultati. Il risultato fu doppiamente disastroso: da un lato, la disaffezione del pubblico, nuovo o stagionato che fosse, incapace di affezionarsi ai blandi esperimenti di Trans (1982) o di capire quale senso allignasse nell’interpretare forme diverse dell’american music, dal rockabilly (Everybody's Rockin', 1983) al country (Old Ways, 1985), in modo così stanco e sbiadito; dall’altro la paradossale decisione dello stesso Geffen, fuori di senno dopo l’ascolto dell’inqualificabile Landing On Water (1986), di portare l’artista in tribunale, con l’accusa di realizzare album volontariamente anticommerciali. Archiviata la pratica di un Life (1987) altrettanto disastroso, tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 il grizzly è risorto, dimostrando a tutti che se bruciarsi in fretta e senz’altro preferibile a un lento scomparire, ritemprarsi e tornare più in forma di prima è meglio ancora. Coccolato dai critici, omaggiato dai gruppi più giovani e di nuovo gratificato dal riscontro degli acquirenti, il grizzly è giunto alla fine del decennio appena trascorso con rinnovato desiderio di stupire. Deve aver pensato che, ohibò, gli andavano tutte per il verso giusto: applausi a scena aperta per le furiose sventagliate rock di Ragged Glory (1990) e della sua speculare, devastante controparte live (Weld, 1991) come per il country-folk tradizionalista di Harvest Moon (1992) e per gli assoli spettrali e convulsivi della colonna sonora di Dead Man (1996).
Questo non va bene, avrà ruminato tra sé e sé il grizzly, adesso ci penso io. Detto e fatto, ecco una reunion coi vecchi compagni di strada Crosby, Stills & Nash all’insegna della più manifesta inutilità (Looking Forward, 1999), un album impregnato d’un intimismo folkie mai così sereno e pastorale (Silver & Gold, 2000) e il live forse più violento, sfibrante e distorto fra i cinque consegnati alle stampe in vent’anni di carriera solista (Road Rock Vol.1, 2000). Detto che i riformati CSN&Y non sono stati presi troppo sul serio da nessuno, se non dagli intestatari dei rispettivi conti in banca, non è improbabile che Are You Passionate? sia destinato a farsi ricordare soprattutto come l’album col quale il grizzly è tornato a dividere in maniera definitiva. La prima reazione in sede critica è stata di rifiuto o di adesione. Chi vi scrive - sia detto per inciso - non esita a schierarsi dalla parte del grizzly; mi sembra evidente che gli ultimi progetti discografici sono stati concepiti col preciso intento di sorprendere, ma a differenza degli anni ’80 stavolta è tutto a posto: le canzoni ci sono, gli arrangiamenti pure, l’ispirazione non latita. Da un punto di vista squisitamente esteriore, Are You Passionate? si riallaccia al suono errebì a suo tempo affrontato in This Note’s For You (1988). Rispetto a quello, però, l’impostazione generale riflette in modo evidente l’assenza dei fiati, la maggior dimestichezza dei musicisti coinvolti e la miglior forma della scrittura del grizzly. Per quanto riguarda invece le liriche, a strutturarle provvede ancora il principio dell’incertezza (a tutti gli effetti determinante nell’intera parabola artistica del grizzly), la stessa che mina le certezze che si vorrebbero acquisite con l’età, che corrode i rapporti umani, che trasforma la prospettiva del futuro in una minacciosa incognita di dubbi e angosce.
L’iniziale "You’re My Girl" stabilisce in via paradigmatica le coordinate sulle quali si muove l’intero disco, cioè a dirsi un rock torpido e frammisto soul, sovente acceso di rhytm’n’blues, dove il morbido tappeto d’organo fornito dal veterano Booker T. Jones costituisce lo sfondo per le sempre essenziali linee di chitarra del titolare e del fidato pard Frank "Poncho" Sampedro, mentre la sezione ritmica di Donald "Duck" Dunn e Steve Potts cesella tempi medi di malinconia ineffabile. Le successive "Mr. Disappointment" e "Differently" rappresentano due facce dello stesso medaglione soul bianco e introverso: dove la prima sembra un’esplicita dichiarazione d’intenti del grizzly ("Non ho sentito il cambiamento / Tutto è rimasto uguale a se stesso / E non so / Quando arriverà il momento / Mi manca il sentimento / Mi manca la luce / Ma ho fede in qualcosa / Non abbandonerò mai il combattimento / Diciamo che ho certe abitudini / Diciamo che sono difficili da cambiare / Diciamo che dobbiamo tutti fare qualcosa / Prima che sia troppo tardi"), una difesa d’ufficio della propria refrattarietà al contatto col prossimo officiata attraverso un ritmo strascicato, con la chitarra che ricama in lontananza, il groove ipnotico della seconda fa ammenda degli errori del passato ("Forse allora non ti ascoltavo / [...] / Questa è un’altra cosa che oggi / Farei diversamente").
Peccato d’indecisione? Non direi, anzi, se c’è un merito da esaltare in quest’album è proprio la sostanziale fluidità con cui dipana i propri contrasti, la sensazione di omogeneità che affiora anche in sequenze di brani assai diversi fra di loro, tanto che non sembra affatto discontinuo l’alternarsi dei riff granitici di "Let’s Roll" e delle cadenze ovattate della title-track alla deflagrazione della spiritata "Goin’ Home", nove minuti di puro trademark Crazy Horse (presenti infatti al gran completo) per una riflessione mistica sul destino del generale Custer. E chi si stupisce se dopo una simile cavalcata elettrica sbuca un lentaccio da antologia come "When I Hold You In My Arms", purissimo distillato di quel sound - appiccicoso, soulful e irresistibile - che la Stax portò a livelli di assoluta eccellenza trent’anni fa? Varrebbe la pena spendere gli stessi aggettivi per i disimpegnati miagolii di "Be With You", non fosse che anche qui l’entusiasmo per un brano contagioso nella sua immediatezza e nella sua semplicità viene subito disinnescato dalla tormentata "Two Old Friends": il protagonista che, dopo aver "imparato ad avere fiducia / imparato a donare", sembrava essersi lasciato alle spalle la solitudine ora chiede "Sogno di un tempo in cui amore e musica saranno dappertutto / Lo vedi arrivare?", per sentirsi rispondere "No figliolo, quel tempo se n’è andato".
Avrà anche apposto il suo placet a un tour americano con i "vecchi amici" (four invece che two, senza dimenticare l’accorata "Buffalo Springfield again" di due anni orsono), ma davvero non c’è musicista che come il grizzly abbia coscientemente (e coerentemente!) fatto a pezzi, nel corso del tempo, l’utopia e le speranze degli anni ’60. Perché le domande non sono cambiate e i cuori, per quanto "vecchi", "scuri" e "doloranti", continuano a soffrire per l’odio tutt’intorno. Per essere il poco dignitoso congedo di una gloria in disarmo, come Are You Passionate? è stato spesso definito, è raro trovarsi di fronte a un disco così ossessivo nell’interrogarsi sulla natura e le radici di del dolore, della sofferenza, del male. Secondo alcuni, neanche l’uomo di "Ohio" e "Southern Man" dovesse ancora sbilanciarsi in una requisitoria pro o contro Bush Jr., la stessa "Let’s roll", dedicata a Todd Beamer, l’uomo che guidò la resistenza contro i dirottatori dell’aereo 93 (poi schiantatosi in Pennsylvania), risentirebbe di eccessive ambiguità. A parte il fatto che il grizzly sul terreno accidentato dell’ambiguità si è sempre mosso volentieri, e talvolta - va ammesso - con la grazia dell’elefante nel negozio di cristalli, non capisco quali ambiguità si possano attribuire a un testo che recita "Muoviamoci per la Giustizia / Muoviamoci per la Verità / Muoviamoci affinché i nostri ragazzi / Non vivano una giovinezza di paure".
Retorica, magari, ma lasciatemelo dire, di nobile schiatta, se non altro genuina e sentita. Il punto è che Are You Passionate?, a partire dal titolo, a partire dal telefono che squilla inutilmente in apertura alla stessa "Let’s Roll", offre una quantità spaventosa di interrogativi pur essendo contestualmente avaro di risposte. Meglio così, meglio che ognuno sia libero di rispondere come preferisce a quel cielo azzurro che si apre sul doppio lato della confezione digipack - tragica commemorazione del "September eleven" o nuova speranza che si schiude all’orizzonte? Il grizzly non lo dice, suggerisce solo, mentre scorrono i titoli di coda di "She’s A Healer", di credere ancora nel cuore delle persone. "Tutto quello che ho è un cuore spezzato e non provo neanche a nasconderlo / Quando suono la mia chitarra / La mia donna dagli occhi tristi è un mistero per me / Il suo tocco rinfranca la mia anima" canta il grizzly sullo sfondo notturno affrescato dalla tromba in sordina di Tom Bray. Se tutto ciò che avete è un cuore in frantumi, se non siete spaventati dall’idea di mostrarlo al mondo, abbiate fiducia in Neil Young: he’s a healer. 
Gianfranco Callieri

Due anni dopo Silver & Gold, esce Are You Passionate? il nuovo album di Neil Young. Il cd sorprenderà molti fans del cantautore canadese. Il portavoce del rock moderno, visto da molti nuovi musicisti come punto di riferimento, pubblica un disco che spazia attraverso generi molto diversi tra loro. La scelta di avere al proprio fianco artisti come Booker T. Jones (tastiere) e Donald «Duck» Dunn (basso), vale a dire musicisti attivi in area rhythm and blues già negli anni Sessanta, non poteva che portare ad un suono venato di black… antico. Are You Passionate? è un ottimo disco, per molti versi coraggioso proprio per la scelta di «Old Neil» di spiazzare i propri fans. Chi si aspettava un ulteriore avvicinamento a band come i Pearl Jam o un ritorno al country rock, resterà disorientato, ma crediamo che il disco sia davvero ben riuscito. Un disco che comunque non deluderà neppure chi ama il rock targato Young. Nato a Toronto, in Canada, nel 1945, nel 1966 a Los Angeles formò i Buffalo Springfield con Stephen Stills. Nel 1968 lasciò il gruppo e iniziò la sua fortunata e lunga carriera solista con la band dei Crazy Horse; con Crosby, Stills, & Nash formò uno dei più famosi sodalizi rock. Il nuovo disco segna la prima volta in studio di registrazione di Young con Booker T Jones, con cui aveva già collaborato nel 1993. Alcuni brani del nuovo disco erano già stati presentati nella tournèe che ha toccato Brescia nel luglio 2001 (“Gateway of love” e “Going Home”). Nel disco è presente pure “Let’s Roll”, «instant single» scritto da Young alla fine dello scorso anno e dedicato ai passeggeri del volo United Airlines 93, schiantatosi l’11 settembre a Pittsburgh. La canzone è stata scritta e registrata prima del Giorno del Ringraziamento ed è ispirata dalle ultime parole dette al suo cellulare da Todd Beamer, a bordo di quel volo dirottato dai terroristi e fatto schiantare al suolo grazie al sacrificio dei coraggiosi passeggeri. Neil Young ha fatto una personale donazione alla famiglia Beamer. 
Pippo Piarulli


Sembra sempre di più l'ultimo dei Mohicani, Neil Young, con quei suoi tratti somatici da pellerossa, ancor più evidenziati dalle rughe profonde della vecchiaia. Che, peraltro, poco incide sulla qualità della sua voce, ripulita come se avesse fatto i gargarismi. È questa la prima cosa che si nota all'ascolto di Are You Passionate?, ennesimo (ho perso il calcolo) album del loner canadese, che prova ad aggiornare le origini con una rivisitazione di Harvest in chiave 2000. Per capire Are You Passionate? bisogna partire dalla fine, come quando si cerca la soluzione di un giallo saltando a piè pari tutto il libro. "She's A Healer", l'ultimo brano, nove minuti di ballata elettroacustica con tanto di riff trascinato per i capelli, riporta la mente ai tempi di Zuma e di "Last Trip To Tulsa". I racconti di Neil Young non possono essere contenuti nei tre minuti di una canzone-bignami, hanno bisogno del respiro lungo, dello spazio aperto di una Mesa. È lì, sulla distanza, che Neil Young dà il meglio di sé. Are You Passionate? non è un esperimento, è solo la conferma di un collaudo, quello di uno stile che ha fatto epoca e che potrebbe ripetersi agevolmente in un loop infinito. È Neil Young, niente di più, niente di meno.
Maurizio Iorio, Rockstar


In questo ennesimo album della sua gloriosa carriera il vecchio Zio Bisonte è voluto tornare all'elettrico dopo la parentesi agreste del precedente Silver & Gold. Chiariamo subito che non bisogna comunque aspettarsi un disco potente e fondamentalmente rock quali potevano essere ad esempio Mirrorball o Ragged Glory, anzi: di pezzi che possano ricordarci questo aspetto scorbutico e feedbackaro del canadese ce n' è solo uno, l'epico incedere di "Going Home", 8 minuti e mezzo di cavalcata tra boschi elettrici e sferraglianti locomotive, non a caso anche l'unico suonato con i compagni di sempre Crazy Horse. Già, perchè il resto dell'album Neil lo ha registrato con i vecchi amici Booker T (della backing band di Otis Redding...) e Duck Dunn (dei Blues Brothers ),oltre che col fido Poncho Sanpedro. E infatti questo disco si potrebbe quasi etichettare, per le ritmiche, come il disco rhythm&blues di Neil Young: basti sentire l'inizio à la Otis di "You're My Girl"o "Be With You", o anche fare, più in generale, attenzione al suono del disco, con basso e batteria a dialogare con un hammond mai così presente nei pezzi del nostro.Ecco, nei pezzi in particolare, secondo me, si entra pian piano, non ti catturano subito come altre opere di Neil Young avevano fatto in passato, proprio per questo mood molto da blues club che hanno numeri cone "Two Old Friends" o "Differently", che ricordano,nella costruzione dei pezzi e nella registrazione, alcuni brani finiti su Freedom,il disco del '89 contenente la leggendaria "Rockin' In The Free World". Gli episodi migliori di Are You Passionate? sono a mio avviso la title-track, "Quit", e "When I Hold You In My Arms", ovvero quei pezzi in cui Neil veste i panni del romanticone che sa ancora far ballare le vecchie coppie, mentre a fine serata, la balera si svuota dei frizzi e dei lazzi lasciando il campo a indomiti rubacuori o a instancabili paladini del sentimento, mentre ci parla appunto delle difficoltà dei veri sentimenti. Ultima citazione, infine, per "Let's Roll", dedicata ai passeggeri dell'aereo finito (?) sul Pentagono lo scorso settembre, divertente funkettone rock rallentato. Insomma, se Are You Passionate? non è certo il disco migliore di Neil Young, si può comunque dire che è un buonissimo disco, che va ascoltato tutto di filato, senza scegliere un pezzo in particolare, e che può conquistare serate scure e solitarie, in cui lasciarsi cullare da queste canzoni e questi suoni così squisitamente fuori dal tempo (non sarà che Neil in realtà ha registrato questi pezzi nel 1989?). E se fosse questo essere fuori dal tempo l'elisir di lunga vita (artistica)? 
Stardog


Se dovessi sintetizzare in un unico concetto l'impressione che mi fa Are You Passionate?, ultimo lavoro di Neil Young, direi che l'artista appare molto rilassato e disteso: ha voluto avvalersi per l'occasione della collaborazione di Booker T.Jones e Donald Duck Dunn, storici tastierista e bassista dei Booker MG's, autori del famoso "Green Onions", un pezzo di storia r&b americana, più tardi anche collaboratori di John Belushi nei Blues Brothers! E indubbiamente le sonorità calde dell'hammond-organ di Booker (che co-produce l'album con Young) ed i ritmi sincopati di Dunn conferiscono a molti brani di Are You Passionate? un accentuato, piacevolissimo tocco r&b Tamla-Motown nonché vagamente lounge (ebbene sì!). Ne beneficiano songs come “You're My Girl”, “Mr.Disappointment”, “Two Old Friends”, “When I Hold You In My Arms”, “Differently” nelle quali Young sfodera un'ispirazione "leggera" e nostalgica, certamente non all'altezza delle sue cose migliori, che pare come dicevo all'inizio frutto di un periodo esistenziale ed artistico pacato. Nondimeno Neil anche stavolta ci regala un paio di ballate lente ed intrise di quella dolente tristezza come solo lui sa scrivere: “Are You Passionate?” e “Quit (Don't Say You Love Me)” ti entrano nella testa e nel cuore da subito e non te ne liberi più... I valorosi Crazy Horse sono al completo invece (Sampedro/Molina/Talbot) nella sola “Goin' Home”, tour de force chitarristico tipico di quelli cui Young ci ha da sempre abituati, caratterizzato da riffs hard e reiterato lamento vocale di Neil. Abbastanza anonimi e monotoni purtroppo “Let's Roll” e “She's A Healer”, nonostante l'apprezzabile intervento alla tromba di Tom Bray nella seconda. Neil Young é uno di quei musicisti-songwriter che ha più influenzato la mia generazione ed ancora oggi é attivissimo e popolarissimo all'interno della scena rock americana: Are You Passionate? non é un disco memorabile ma noi lo amiamo a tal punto da perdonargli qualche passeggera caduta di tono. 
Pasquale Boffoli


Un disco di Neil Young è sempre un disco di Neil Young. È sempre la solita musica in quattro quarti o giù di lì, acustica o elettrica, con CSN o con i Crazy Horse, ma ha sempre un sapore antico che la rende unica. Are You Passionate? sembrava essere nelle premesse il disco del “dopo 11 settembre”, per via della canzone scritta sul dirottamento dell’aereo precipitato nei pressi di Pittsburgh e per la copertina carica di riferimenti sentimentali, come se il vecchio Neil volesse (o dovesse) trovare un sollievo alle pene del suo paese. Invece l’album spiazza chi si attendeva una raccolta di ballate dal sapore country e anche chi sperava in una nuova prova elettrica rabbiosa. Oltre al fidato Frank “Poncho” Sampedro, la band è stavolta composta dal gruppo di Booker T & the MGs: Booker alle tastiere, Steve "Smokey" Potts alla batteria e Donald "Duck" Dunn al basso. Come già più volte successo nella sua carriera, Neil Young si rivela artista passionale e istintivo nelle sue scelte: dopo i concerti dell’estate scorsa con i Crazy Horse, arrivano ora un disco di pezzi rhythm’n’blues e una nuova tournèe con Crosby, Stills e Nash. Il vecchio orso dispone di tutta la libertà e di tutte le capacità per fare ciò che vuole, senza bisogno di calcolare le sue mosse, ma, in mezzo a tanti slanci, rischia anche di smarrire la lucidità e la follia che animano la sua musica. Are You Passionate? non è un brutto disco, ma è troppo medio: la voce roca di Neil e la sua chitarra arrugginita si perdono nelle malinconie soul create dalle tastiere di Booker e dai cori (ci sono anche Pegi e Astrid Young). Alcuni attacchi hanno i toni epici del migliore Young (“Mr. disappointment”, “Differently”), solo che i pezzi rimangono smorzati, senza quella scintilla che rendeva memorabili anche i passaggi più elementari del canadese. “Don’t say you love me” ha una chitarrina ritmica da principianti e la title track è una ballata piatta che non riesce ad incantare nemmeno col piano, in cui di solito Neil è maestro con le sue note penzolanti. “Two old friends” addirittura è vittima di nostalgie e di buonismi imbarazzanti: l’incontro improbabile tra Dio e un predicatore è il pretesto per lamentarsi dell’odio che c’è nel mondo e dei tempi passati in cui l’amore e la musica erano ovunque. Anche “Let’s roll”, già diffusa in rete da tempo, è un blues banalotto che rende ancora più retorico il ricordo delle vittime del volo 93. Merita invece una nota di merito “Goin’ home”, non a caso registrata a parte, a San Francisco con i Crazy Horse: le chitarre spiegate ricordano “Cortez the killer” e anche il testo passa dalla storia al quotidiano senza staccare, mentre la ritmica continua a raspare una furia di cui non riesce a liberarsi. Bello anche l’intervento di tromba in “She’s a healer”, un lunghissimo blues che rimane però di normale amministrazione.
In definitiva, un disco molle, in cui Neil Young appare troppo indulgente con se stesso e con le sue canzoni. Certo, è sempre un disco di Neil Young, ma basta?  
Christian Verzeletti

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