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The Oral History: Broken Arrow e Dead Man, 1996


Broken Arrow

Neil Young: Spareranno merda su questo disco. Gli ho dato un bersaglio mobile – ha molti punti deboli e sarà facile criticarlo... È volutamente vulnerabile e incompiuto. Volevo prendermi qualche batosta senza David. [1]
L’ultima volta che andai a trovare David Briggs era già molto malato. Gli chiesi cosa pensava che avrei dovuto fare con la mia musica. Lui mi disse: “Devi tornare alle origini, all’essenza, alla fonte di tutto. Questo è l’Anno del Cavallo”. [3]

Il tuo nuovo album si intitola Broken Arrow, come una canzone scritta 30 anni fa per i Buffalo Springfield. Ti piace vivere nel passato?
Young:
Non ha niente a che fare con la nostalgia. Per anni e anni ho cercato di fare dischi che suonassero non completi, col risultato di attenuarne la rozzezza e l’autenticità. Questa volta ho lasciato le canzoni così com’erano, ma non riuscivo a trovare un titolo. Mi sono chiesto: cosa significa questo album per me? Per me rappresenta il divertimento, la franchezza e la libertà di persone che vogliono suonare insieme, così come facevamo 30 anni fa, quando scrissi “Broken Arrow” e avevo solamente 20 anni. Poi c’è anche il mio ranch che si chiama Broken Arrow. [4]

Frank “Poncho” Sampedro a proposito dell'inizio del tour del 1996: Quei concerti furono la cosa migliore capitata ai Crazy Horse. Eravamo di nuovo una band. [1]

Young: La squadra con cui vado in tour questa volta non è professionale. Non è del tipo, “L'abbiamo già fatto in passato, sarà grandioso.” Non è così. [1]
Suono per persone che non mi hanno mai visto, anziché venir fuori per suonare per il mio vecchio pubblico. Significa che devo mettermi alla prova con loro, e mettermi alla prova con me stesso. Dal momento che ho 51 anni, devo sentire le mie limitazioni fisiche e mentali, ma pure la mia forza e la mia esperienza. […] La sfida è diffondere musica che abbia qualcosa da dire entro i confini di cui sono capace. […] Le canzoni funzionano se parlo di qualcosa in cui credo, piuttosto che se hanno un'immagine troppo oscura perché tu la capisca. Se io ci credo, e ne canto con convinzione e l'immagine lavora per me, allora funzionerà anche per qualcun altro. Le altre persone potrebbero trarre dalla canzone qualcosa di molto diverso rispetto a me, ma è così che funziona. [2]

Fonti:
[1] “Shakey” di J. McDonough
[2] NY Times 1996
[3] web (fonte ignota)
[4] Zuerich Weltwoche 1996


Dead Man

Neil Young:
Quando vidi il film, aveva solo i dialoghi, e dissi a Jim [Jarmusch] che era un capolavoro. […] Jim voleva a tutti costi che io componessi la colonna sonora e mi convinse che per il film era necessario. Guidai la Continental per andare alle sessions. Il mio approccio al progetto Dead Man fu quello di riproporre il feeling del musicista che suona dal vivo per accompagnare il film proiettato in teatro. Ho noleggiato un vecchio teatro a San Francisco, di proprietà di Mike Mason, un amico che incontrai nel 1980 durante le riprese di Human Highway, e montai qualcosa come venti schermi disposti in cerchio intorno a me, al centro della sala. La dimensione degli schermi era variabile da grande a piccola. Sistemai la mia chitarra, la Old Black, il mio amplificatore, il mio vecchio piano, tutti al centro circondati dai monitor. Dovunque guardassi vedevo il film. Non avevo vie di fuga. Quando sentivo di dover suonare, prendevo la chitarra e suonavo. Ho suonato solo la Old Black, la mia chitarra elettrica, per gran parte del film, facendo effetti sonori e sviluppando un tema intitolato “The Wyoming Burnout” che avevo scritto anni prima per un'idea per un mio film. Ho sviluppato un altro tema che ho usato per uno dei personaggi secondari. Ho suonato tutto dal vivo. Ho registrato tre volte l'esecuzione dell'intera durata del film senza soste. Ho poi scelto di usare la prima metà della seconda esecuzione e la seconda metà della prima. Personalmente il progetto riuscì in modo perfetto. Alcuni pensano che sia il film migliore di Jim, altri pensano di no. Per me è trionfale e sono grato di averne fatto parte. […] Più avanti il film uscì e Jim volle il soundtrack album. Lavorando con il mio amico John Hanlon, abbiamo creato l'album Dead Man, che includeva il suono della Lincoln come veicolo che passa da una scena all'altra, con Johnny Depp che legge le poesie di William Blake, il grande poeta che viene menzionato nel film. [1]

Hai fatto la colonna sonora per il film di Jim Jarmusch Dead Man. Ti ha insegnato qualcosa dell’interazione tra musica e immagine sullo schermo?
Young:
Be’, ci sono certe somiglianze tra Greendale e Dead Man per via dell’approccio – sono entrambi abbastanza fuori dagli schemi, ma nonostante questo… - l’approccio per Dead Man fu che io tornassi indietro – fondamentalmente Dead Man era un film muto e, sai, negli anni ’20 quando c’erano i cinema, c’era un organista o un pianista che suonava durante il film – e avevi i sottotitoli e la musica dal vivo, ecco qui. Quindi nel fare la colonna sonora per Dead Man avevo il film proiettato su uno schermo televisivo e avevo, tipo, 20 televisori attorno a me, alcuni enormi altri piccoli, portatili, e wide screens in un semicerchio a partire dal soffitto. No, anzi, un cerchio intero. E avevo gli strumenti dentro al cerchio. Quindi gli strumenti erano abbastanza vicini a me per passare dall’uno all’altro, e ed erano già pronti e tutti collegati, tutto in registrazione. Il film iniziò e io cominciai a suonare. Ho guardato il film e nel frattempo suonavo. Mettevo giù la chitarra e passavo al piano da saloon quando c’era la scena del saloon. Quando la scena finiva, andavo all’organo per un’altra scena – ho un piccolo organo a pompa. Poi prendevo la chitarra elettrica e tiravo fuori i miei suoni distorti per andare insieme ai tamburi indiani e a tutte le cose che apparivano nel film. Fondamentalmente fu un’esperienza in diretta. [2] 

Avevi pianificato qualcosa prima? Avevi composto delle cose in anticipo o è stato tutto improvvisato?
Young:
Avevo un tema. […] In effetti avevo usato due temi. Uno di questi doveva essere duro perché c’era della violenza. Così dovresti avvertirla quando lo senti, sai. Quello era uno, poi c’era un genere di tema secondario che va di pari passo con altre sensazioni del film. Ed era tutto quello che avevo. […] E il tema era molto semplice. Aveva tre note, quindi l’ho ripetuto, sai, in modi diversi e esplorato in diretta mentre il film andava in playback. [2]

Fonti:
[1] N. Young, “Il Sogno di un Hippie”
[2] Fresh Air 2004




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