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The Oral History: Rust Never Sleeps / Live Rust (1979)


Neil Young: Iniziò tutto sul WN Ragland. Eravamo nelle Isole Vergini: Pegi, incinta di Ben, […] David Briggs […]. Presi un quaderno scolastico, di quelli con le righe. […] Sulla copertina c'era un leader politico, probabilmente un primo ministro. Improvvisamente mi venne un'idea per il nuovo tour con i Crazy Horse! Sarebbe stato il punto di vista di un ragazzo che fa un sogno. Con gli amplificatori enormi e il microfono gigantesco. Sarebbe stato come Pollicino al contrario. I roadies erano tutti come i Java di Guerre Stellari! Il direttore luci era uno stregone con la testa conica e alcuni scienziati in camice da laboratorio stavano al mixer. […] Ci disegnai delle tabelle con i titoli delle canzoni, gli effetti, le azioni, le luci, le code sonore; tutto scritto a mano su quel quaderno delle elementari, come se fosse la sequenza di un database. […] Quando arrivarono al Cow Palace di San Francisco per le prove, sentendosi dire cosa avremmo fatto e che avremmo avuto solo un paio di giorni per impararlo, restarono piuttosto scioccati. […] Il primo spettacolo era dopo pochissimi giorni. […] Fu messo in cartellone come Rust Never Sleeps: a concert fantasy, e per il pubblico fu ancora più estraniante perché il mio nuovissimo album, Comes A Time, era appena stato pubblicato. […] I Crazy Horse erano grandiosi dal vivo e questo era il modo più divertente di registrare. […] Le prime due performance di Rust Never Sleeps furono disastrose: c'erano cose che non funzionavano correttamente […]. Quell'anno Rust Never Sleeps fu nominato album dell'anno da Rolling Stone. [7]

Young: Ho una splendida moglie. È una bellissima donna e abbiamo una relazione molto positiva – lei mi stimola continuamente in un modo o nell'altro. Il nostro è un rapporto vero. [1]

Elliot Roberts: Credo che la forza di Pegi sia stata d'ispirazione per Neil. Lui è un uomo molto difficile. È molto preso da sé stesso. È un vero artista. È un difficile equilibrio – la loro famiglia e la loro vita, e penso che Pegi abbia sostenuto la pressione in modo eroico. [1]

Young: Il punk rock […], la musica underground prima che diventasse parte dell'establishment, mi piace perché la gente la rende viva. Non gliene sbatte un cazzo. Non gliene frega di diventare i numeri uno. Non gliene frega di avere un bel suono, un prodotto conformato. Quello che vogliono è colpire allo stomaco, un buon ritmo, e dire quello che per loro significa qualcosa. E dirlo in un modo grezzo. Questo ti coinvolge e ti fa ascoltare. Ma non lo possono sentire tutti. […] Io sono famoso in tutto il mondo, quindi come faccio a far parte della tipologia underground? Non lo sono, ma il mio cuore è lì. [1]

Mark Mothersbaugh (Devo): Neil fu il primo con cui abbiamo fatto una jam session. […] Non volevo cantare di Johnny Rotten, cambiai il nome in Johnny Spuds. E aggiunsi un verso - “rust never sleeps”. Si riferiva alla corruzione rispetto all'innocenza, alla devoluzione del pianeta. [1]

Young: Quel “rust never sleeps” ero io. Era la mia carriera. Più sono andato avanti, più ho dovuto combattere contro questa corrosione. […] Quando dissi a Elliot di Rust Never Sleeps, pensò che fossi diventato matto. Avevo già scritto ogni cosa - i road-eyes, le scatole che salivano e scendevano, i microfoni e gli amplificatori giganti. Tutto ciò che c'era nello show lo avevo scritto prima iniziare, su un block notes da scolaro comprato a Grenada. Elliot pensò che fossi ammattito. Sul serio. Ma è successo tante di quelle volte quando penso a qualcosa di radicale e diverso, sai, comunque non ci importava. Elliot ha il cuore al posto giusto ma alle volte lo devo ignorare, perché lui non è me. Come quando vuole produrre i miei album, cazzo lo ammazzerei. Non fa quello che faccio io. Lui pensa al business.
Spruzzai con una bomboletta la scritta Rust Never Sleeps sulla porta del suo ufficio. Dissi, “ora sei avvertito. Tutti quelli che passeranno di qui si chiederanno cosa diavolo è, e tu gli dirai del mio nuovo album.” Non costò neanche un centesimo. Elliot ce l'ha ancora sulla porta.
[…] Il pubblico di Rust era un pubblico ideale. Erano pronti a ascoltare qualsiasi cosa. Pronti a credere a qualsiasi cosa. Lo volevano. Oggi, in confronto, il pubblico è esausto. Ma ci sono molti ragazzi che non lo sono, sono idealisti – vogliono che sia bello e che sia vero. [1]

Joel Bernstein: Suonavano [“My My Hey Hey”] a un volume impressionante. Neil disse, “questa la farò coi Crazy Horse e la dovranno imparare.” Lì nacque Rust Never Sleeps. […] I concerti furono assordanti. Incredibilmente alti, al punto che allo show di LA la tribuna d'onore andò via prima del secondo set elettrico. [David] Geffen, Ahmet [Ertegun, presidente della Warner], se ne andarono. [1]

Frank “Poncho” Sampedro: Sul palco era assordate. Eravamo distanti, specialmente io e Neil. Per me non era un gran divertimento perché non riuscivo a sentire quello che facevamo. Non facevamo molti interscambi. Era tutto d'un botto. [1]

David Briggs: Neil andò in Florida. Io andai a comprare un'oncia di cocaina e, in una settimana, assemblammo sia Live Rust che la colonna sonora del film. In una settimana. Non è stato per la droga, ma è quello che succede con lui. [1]

Rust Never Sleeps è stato il culmine di qualcosa?
Young:
Non saprei. È difficile ricordare cosa sia stato, in effetti. Sì, sembra un po' il gran finale di un certo periodo. [1]

Graham Nash (a proposito del verso “meglio bruciare che spegnersi lentamente”): Non sono d'accordo. […] So che stiamo parlando di James Dean, Hendrix e Janis [Joplin] e simili... Con quel genere di attitudine, Neil dovrebbe essere scocciato di essere ancora vivo. [1]

Young: Mi sono accorto di qualcosa quando ho visitato l’Inghilterra un anno e mezzo fa. […] I bambini erano stanchi delle rock star e delle limousine e dei privilegi dell’essere star. C’era una nuova musica che i bambini ascoltavano. Subito ho sentito i miei coetanei dire “Dio, che cazzo è questo… in tre mesi sarà sparita”, ma sapevo che era un segno che stava per colpire se non si fosse fatto attenzione. E quest’anno molti sono stati colpiti. La gente non torna a vedere le stesse cose per sempre. È come il serpente che mangia se steso. Punk music, new wave. Puoi chiamarla come vuoi. È rock & roll per me, è comunque la base di quello che sta succedendo. […] Sapevo di dover andare là fuori e fare rock. Ma sapevo anche che non mi riuscivo a vedere là fuori a farlo nel mio solito modo. Bisogna continuare essere nuovi così come lo si era all’inizio. In questi giorni il business musicale è così grande che io mi sento schiacciato. […] Questo tour è sembrato fissare qualcosa. È una retrospettiva, ma guarda proprio verso l’adesso. [5]

Come ti è venuta l'idea degli amplificatori giganti?
Young:
Il giorno che ho guardato l'immenso sistema di amplificazione che abbiamo. Aveva l'aria di un tale ammasso di ferraglia, ridicolo, che ho pensato di ricoprirlo... Poi ho deciso di fabbricare una versione gigante del piccolo ampli Fender. Non è un concetto, ma lo sviluppo naturale di idee che ho avuto in diversi momenti. Se una cosa viene facilmente, essa darà i migliori risultati. [6]

E questi monaci futuristi che si vedono per tutto il film?
Young:
Noi li abbiamo battezzati “roadeyes”. Sono con me da lungo tempo, semplicemente nessuno aveva mai fatto attenzione a loro. Li avevo “visualizzati” ancora ai tempi dei Buffalo Springfield. Non ne avevo mai parlato a nessuno. [6]

Da dove viene il titolo Rust Never Sleeps?
Young:
L'hanno inventato dei miei amici, i Devo. Lavoravano in un'agenzia di pubblicità ad Akron, nell'Ohio, dove avevano un cliente che vendeva un prodotto anti-ruggine, ed essi avevano trovato questo slogan. Ciò ha subito acquistato molti significati per me, riguardo alla mia carriera: più io continuo a cantare, più devo combattere questa corrosione che cerca di impadronirsi di me.
Suonare con i Crazy Horse, oggi, mi scalda il cuore. Mi procurano un supporto che nessun altro può darmi. Mi permettono di fare di più con la mia chitarra, la mia voce e i miei sentimenti. Ecco perché suoniamo ancora insieme. Molta gente pensa che noi suoniamo troppo semplicemente, senza alcuna finezza. Invece, c'è un'enorme finezza tecnica in ciò che facciamo, ma non ci interessa impressionare. Noi vogliamo semplicemente suonare con feeling, e qualcuno di noi non riesce a suonare rapidamente tutto d'un tratto. Noi possiamo suonare lentamente, molto lentamente, non arriviamo facilmente ai ritmi veloci. Può darsi che sia la ruggine, non so... [6]

Young: Dopo Rust Never Sleeps hanno smesso di chiedermi perché suonavo con i Crazy Horse. […] Immagina oggi, con la tecnologia di adesso, un disco con i Crazy Horse, con il tiro di quella forza. Il cavallo è una macchina molto potente e molto semplice. È quello che è. Non lo puoi fare andare ovunque, ci sono posti in cui spaccherebbe tutto, è così, come un elefante nel negozio di porcellane cinesi. Però se lo porti nello spazio giusto è perfetto. [2]
A proposito di “Hey Hey My My”
Young:
La scrissi a casa, insieme a Jeff Blackburn – il verso “è meglio bruciare che arrugginire” c'era in una sua canzone, e io dissi “che cosa hai detto?” Dopo aver scritto la canzone lo chiamai dicendo, “ho usato una tua frase, vuoi che ti pago?” Certe cose, sai, mi cadono sulla testa. Per molte cose è successo così. Qualcuno lo dice e io lo sento. Succede dappertutto... devi solo farci caso. [1]

Young: Sono stato interrogato su questo verso [“meglio brugiare che svanire lentamente”] dalla prima volta che l'ho cantato nel 1978. L'avevo scritto in riferimento a una stella del rock and roll, per dire che se te ne vai nel momento in cui risplendi al massimo sarai ricorda così, ovvero per sempre al picco della tua potenza. Questo è il rock and roll. […] Scrissi quella canzone subito dopo la morte di Elvis Presley, uno degli eroi della mia infanzia. [7]

A proposito di “Powderfinger”
È una canzone contro la violenza?
Young:
Non saprei. Dipende come la interpreti. Può anche esserlo. Credo che il punto cruciale sia la non violenza, perché mostra l'inutilità della violenza. Il ragazzo spara uccidendosi. È solo una delle cose. Una scena. [1]
“Powderfinger” stava per essere registrata dai Lynyrd Skynyrd prima dell’uscita del mio album? Spedimmo loro un primo demo perché volevano fare una mia canzone. [3]

A proposito di “Thrasher”
Young:
“Thrasher” parlava delle mie esperienze con Crosby, Stills & Nash a metà degli anni ’70. [3]
A quel punto sentivo che per me erano un peso inutile. Non che loro lo fossero. Ma per me. Potevo andare da qualche parte dove loro non potevano andare. Non volevo tirarla per le lunghe con loro, andavano bene senza di me. Forse è venuta fuori in modo un po' più duro di come lo intendessi, ma una volta scritta non posso dire “Oh, sto per urtare i sentimenti di qualcuno”. Poeticamente e dal punto di vista del feeling aveva senso per me e venne fuori nel modo giusto. Avrei fatto un danno a cambiarla sulla base di quella che pensavo sarebbe stata la reazione. Cerco di non fare questo tipo di cosa. [4]

Fonti
[1] “Shakey” di J. McDonough
[2] Musician 1987
[3] Mojo Magazine 1995
[4] Musician 1985
[5] Rolling Stone 1979
[6] Ivano Casamonti, Neil Young
[7] Neil Young, “Il Sogno di un Hippie” (2013)






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