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Stephen Stills: un excursus nei suoi primi anni e il ricordo di Crosby (Independent, 2023)



Nell'agosto del 1971, Stephen Stills arrivò a Berkeley per le date conclusive del suo primo tour da solista e, a sorpresa, gli fece visita David Crosby. Solo un anno prima il pionieristico supergruppo folk-rock Crosby, Stills, Nash & Young era imploso in una bufera di alcol, cocaina, ego e triangoli amorosi. Quella sera, tuttavia, non ci fu alcun rancore. "Venne a trovarmi nel camerino prima dello spettacolo", ricorda Stills, che invitò prontamente il suo vecchio amico a unirsi a lui sul palco. "Gli dissi: facciamo The Lee Shore, e lui disse, va bene! Non l'abbiamo provata tante volte, e si vede, ma è così che andava all'epoca. Era fantastico".
Il loro duetto appare all'inizio del nuovo album di Stills, Live at Berkeley 1971, tratto dalle registrazioni che l'ex chitarrista dei Buffalo Springfield ha recentemente portato alla luce durante un'escursione nel suo archivio. Oggi Stills ha 78 anni e mi parla in videochiamata dalla sua casa sulle colline di Los Angeles. Il ciuffo di barba bianca e candida che gli spunta dal mento gli conferisce l'aria di un frate medievale, ma durante la conversazione è malizioso e sfrontato, con un atteggiamento irriverente nei confronti della sua stessa musica.
"Le voci sono piuttosto strane", dice dell'album dal vivo, che presenta un set acustico in solitaria seguito da una performance elettrica a tutto volume con il supporto dei leggendari musicisti della Stax, i Memphis Horns. "Mi fa venire in mente... beh, un pazzo che strilla. Eravamo molto su di giri e verso la fine dei concerti mi ritrovavo letteralmente a urlare perché non riuscivo ad azzeccare le note, e tutto era troppo veloce!"
L'apparizione di Crosby nell'album è particolarmente toccante per via della morte del cantautore, avvenuta nel gennaio di quest'anno, all'età di 81 anni. Stills racconta che la notizia lo ha colto di sorpresa. "Stava per partire per l'ultimo tour e mio figlio [Christopher] stava per suonare con lui", racconta Stills. "È andato a fare un pisolino e non si è più svegliato. Non è stato un brutto modo di andarsene, in effetti. C'è una parte di me che sente terribilmente la sua mancanza, e c'è una parte di me che pensa che se ne sia andato appena in tempo, se pensiamo a come sta andando il mondo".
Oltre a "The Lee Shore" di Crosby, in Live at Berkeley 1971 i due suonano insieme anche "You Don't Have to Cry", di Stills. Il brano occupa un posto speciale nel mito di Crosby, Stills e Nash in quanto è stata la prima canzone che hanno cantato come trio, anche se, in linea con la reputazione conflittuale del gruppo, ci sono alcune controversie sui dettagli. Graham Nash sostiene che il fatidico incontro avvenne nel bungalow di Joni Mitchell a Laurel Canyon, ma Stills sostiene che in realtà fu Cass Elliot, cantante dei Mamas & Papas, ad assistere per la prima volta a una performance di CSN nel 1968. "Me lo ricordo vividamente", dice. "Aveva un divano in cui sprofondavo, con dei cuscini grandi e soffici, e non riuscivo a trovare un posto per suonare la chitarra. La cucina si rivelò ottimale. Mi sono seduto in un angolo con David da un lato e Graham in piedi. L'abbiamo cantata una volta e lui ha detto: falla di nuovo. La terza volta si è aggiunto e lì abbiamo capito che il nostro destino era segnato".


Per come Stills ricorda le cose, fu la sera successiva che ripeterono il numero a casa di Joni Mitchell. "Suppongo che, dato che quel racconto è più affascinante, [Crosby e Nash] abbiano deciso di sovrapporlo alla prima volta che l'abbiamo cantata", dice Stills. "È la storia della nostra vita! La storia di quel gruppo". Si lancia in una bonaria imitazione di se stesso e dei suoi compagni di band che bisticciano: "No, io mi ricordo!" "No, sono io che mi ricordo!"
"Guardare quei ragazzi che scoprivano la loro alchimia è stato emozionante. Erano innamorati", ha ricordato Mitchell in seguito. Ovunque sia stato il loro primo incontro, Crosby, Stills e Nash non ci hanno messo molto a ritagliarsi il loro posto nella storia della musica. Il loro album omonimo del 1969 contribuì a definire il California Sound, dove Stills portava canzoni classiche come "You Don't Have to Cry", "Helplessly Hoping" e l'epica apertura "Suite: Judy Blue Eyes", scritta a proposito della sua imminente rottura con la cantante folk Judy Collins. Ha ottenuto più volte il disco di platino.
Più tardi nello stesso anno reclutarono Neil Young, ex compagno di Stills nei Buffalo Springfield, per una serie di concerti tra cui Woodstock, prima che il quartetto pubblicasse Déjà Vu nel 1970. Le crepe iniziarono presto a manifestarsi durante il successivo tour. La band, nata nel soleggiato Laurel Canyon in un'aria intrisa di ottimismo hippy e fumo di spinelli, stava ora deragliando rapidamente in una competitività interna alimentata dalla cocaina. Stills, in particolare, fu accusato di essere un maniaco del controllo e fu brevemente licenziato dal gruppo, dopo aver suonato un set solista prolungato e non programmato al Fillmore East di New York, quando seppe che Bob Dylan era tra il pubblico.
Appena il gruppo si sciolse, tutti e quattro i membri pubblicarono album da solisti, ma Stills ebbe il merito di superare i compagni grazie al suo omonimo debutto, aiutato dal successo del singolo "Love the One You're With". Durante la registrazione del brano, Stills conobbe e iniziò una relazione con la cantante Rita Coolidge, che poi lo lasciò per Nash, aggravando le rivalità sentimentali in un gruppo che aveva già visto Crosby e Nash uscire con la Mitchell. Il titolo e il ritornello della canzone, che invoca l'amore libero ("If you can't be with the one you love, honey, love the one you're with"), fu ispirato da una frase che Stills sentì pronunciare dal tastierista e collaboratore dei Beatles, Billy Preston, a una festa. "L'ha buttata lì al volo e io gli ho detto: sarebbe una grande canzone", ricorda Stills con una risata nostalgica. "Mi disse: falla! E così l'ho fatta".
Il primo album da solista di Stills è noto agli appassionati di chitarra per essere l'unico disco in cui sono presenti sia Jimi Hendrix che Eric Clapton. Questa curiosità riflette sia l'alta considerazione di cui Stills godeva presso i suoi colleghi virtuosi, sia la sua capacità di ignorare i dirigenti discografici impiccioni. "Sono stato piuttosto subdolo", ricorda Stills. "Quando i loro collaboratori lo scoprirono, si lamentarono tutti. Il produttore di Jimi fu particolarmente irremovibile: non suonerai più la chitarra per quel figlio di puttana di ****! Ma noi avevamo un atteggiamento più stile jazz. Eravamo una comunità, un pot-pourri di persone che si mescolavano continuamente, come facevano i jazzisti degli anni Cinquanta".


Meno di un anno dopo aver pubblicato il suo primo album, Stills tornò con Stephen Stills 2 (1971). Quell'estate intraprese una serie di spettacoli frizzanti che, grazie anche al coinvolgimento dei Memphis Horns, vennero subito soprannominati The Drunken Horns Tour. Mentre Live at Berkeley 1971 è stato registrato nell'intimità del Berkeley Community Theatre, che ha una capienza di 3.500 posti, le tappe precedenti avevano visto Stills suonare davanti a un pubblico di 20.000 persone in arene come il Madison Square Garden di New York e il Forum di Los Angeles. "È per questo che suona così spontaneo", spiega Stills. "Al Madison Square Garden la folla si è scatenata al punto da lasciare tre crepe nel muro. Lo so perché il tecnico è venuto direttamente da me a lamentarsi: dovete stare attenti, questa cosa potrebbe crollare! Ha spaventato tutti perché l'intero edificio stava oscillando, cosa che l'Albert Hall potrebbe anche sopportare, ma non un mostro di vetro e acciaio come quelli che costruiscono qui!"
Oltre ai brani di CSN e al materiale solista, in Live at Berkeley 1971 Stills suona anche una versione al pianoforte della sua canzone forse più famosa: "For What It's Worth" dei Buffalo Springfield. Una delle canzoni di protesta definitive degli anni Sessanta, diventata un punto fermo delle colonne sonore, dai documentari sul Vietnam ai film Lord of War e Tropic Thunder. Stills sceglie Forrest Gump come sua colonna sonora preferita, anche se è tipicamente autoironico riguardo alla sua stessa canzone. "Non riesco ad ascoltarla tante volte di seguito prima di iniziare a rabbrividire", dice, "ma è un bene per i fan e per il pubblico perché ti riporta a quel periodo".
Aggiunge che la canzone gli ricorda quella che oggi considera l'atmosfera stridente di quell'epoca. "L'altra sera mi sono imbattuto nel director's cut di Woodstock", dice. "È il film più divertente che abbia mai visto, perché ci sbagliavamo su così tante cose! Eravamo tutti alla ricerca dell'illuminazione, ma erano solo dei gran sproloqui. Guardando tutti quei ragazzi americani che si rotolavano nel fango, mi sono ricordato che in quel periodo si stavano svolgendo dei colloqui di pace. Ho pensato: oh, i nordvietnamiti se la farebbero proprio sotto se vedessero questo! Ora, a 78 anni, mi sorprendo dell'ironia dietro a tutto questo".
Sebbene "For What It's Worth" sia spesso associata alle proteste contro la guerra, in realtà Stills la scrisse a proposito dei disordini di Sunset Strip nel 1966. A novembre, giovani dimostranti hippie - tra cui Jack Nicholson e Peter Fonda - si scontrarono con la polizia per il progetto di imporre il coprifuoco alle 22 ai minori di 18 anni e di chiudere un nightclub chiamato Pandora's Box. "Era il funerale di un bar", ricorda Stills. "La polizia aveva appena ricevuto l'equipaggiamento antisommossa e si mise in assetto da battaglia: facciamolo! Mettiamo alla prova questa roba su questi ragazzini ubriachi e indifesi! Il resto, come si dice, è storia".


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Live at Berkeley 1971 si conclude con un altro inno di protesta di Stills, l'entusiasmante "Ecology Song" di quell'anno, che unisce fiati in levare a versi pungenti sull'avidità delle aziende e sul vergognoso coinvolgimento dell'America nella distruzione del pianeta. Potrebbe essere stata scritta ieri. "Ero piuttosto in anticipo!" dice Stills. "Non era qualcosa di cui la gente scriveva, perché è piuttosto difficile scrivere di cose così dirette. Ci sono alcune rime sbagliate e suona un po' predicatorio. È facile rimanere intrappolati nel proselitismo banale, quindi lo si deve fare con una certa discrezione. Non si può esagerare o si corre il rischio di diventare noiosi, ma per quei tempi era piuttosto lungimirante".
Vorrebbe che i governanti avessero prestato un po' più di attenzione ai suoi avvertimenti sulla catastrofe climatica? Stills scrolla il capo con una risata. "Le persone al potere non presteranno mai attenzione ai musicisti e agli artisti", dice. "Siamo dei mattacchioni!"

Kevin E.G. Perry, Independent.co.uk
Traduzione: MPB per Rockinfreeworld

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