Live at Massey Hall 1971 (2007) - Rassegna Stampa pt.1
Nell’armadio di Neil Young
Siamo alla seconda tappa di questo viaggio nella storia musicale del grande Young. «Massey Hall 1971»: praticamente la «mamma» di «Harvest». Emozionante. Anche Dylan ha scelto questa strada a ritroso nel tempo...
C'è un musicista di 62 anni, famoso da quando ne aveva 27 (nel 1972 il suo album Harvest raggiunse il primo posto in tutte le classifiche del mondo), che sta sconvolgendo le regole del marketing discografico. Si chiama Neil Young, è canadese, il suo disco più recente – un durissimo atto d'accusa all'amministrazione Bush per le bugie sull'Iraq – si intitola Living With War. Forse Young non è il primo (tra le rockstar ci sembra che Prince abbia intuito prima di chiunque altro le possibilità della rete e dell'auto-promozione), ma certo sta perseguendo una linea di «visibilità artistica», chiamiamola così, del tutto originale. Ha un sito internet pazzesco, www.neilyoung.com, al tempo stesso un archivio di video e di canzoni e un gigantesco blog pacifista. Basta aprirlo per sentire, senza nemmeno doverle cliccare, le canzoni di Living With War. Inoltre, dallo scorso autunno ha intrapreso una linea di «glaznost» che è un'autentica benedizione per chi, come noi, lo ama da quasi 40 anni: con la sua vecchia casa discografica Reprise, Neil sta pubblicando una serie di dischi dal vivo che risalgono la sua carriera ripescando autentiche gemme. Il primo è stato Live at Fillmore East March 6&7, 1970 (per ora i dischi hanno, come titolo, solo il luogo e la data del concerto): una performance con il suo gruppo storico, i Crazy Horse, in quel di NewYork, una travolgente cavalcata elettrica con versioni lunghissime e visionarie di classici come “Cowgirl in the Sand” e “Down By the River”. Il secondo, uscito in questi giorni, si intitola Live at Massey Hall 1971: il concerto stavolta è canadese (la Massey Hall è un locale di Toronto) ed è totalmente acustico, Neil si esibisce da solo alternando pianoforte e chitarra. Questo secondo disco è, se possibile, ancora più bello del primo, e ha un'importanza storica enorme perché documenta numerose canzoni di Harvest nello stadio in cui erano un anno prima dell'uscita di quel celeberrimo disco. In certi casi i testi sono diversi, le due «maledette» canzoni orchestrali - “There's a World” e “A Man Needs a Maid”, che su Harvest hanno pesanti arrangiamenti per archi - risaltano in tutta la loro purezza. Soprattutto “A Man Needs a Maid”, la canzone in cui Neil racconta come si innamorò della sua prima moglie, è bella da piangere per come si fonde, in un medley folgorante, con “Heart of Gold”, forse la canzone più indimenticabile di tutto Harvest.
Anche in questa improvvisa apertura degli archivi, Young non arriva per primo. Con le sue Bootleg Series, Bob Dylan sta facendo qualcosa di simile da diversi anni, documentando la tournée con la Rolling Thunder Revue (il periodo ispanico e violinistico di Desire) e soprattutto la fondamentale tournée inglese durante la quale tradì il folk per cominciare a suonare elettrico. Qualcuno leggerà queste riesumazioni come un trucco commerciale: in fondo sia Bob che Neil, superati i 60, hanno il diritto di assicurarsi la pensione. Ma conoscendo i due artisti, non è così: le uscite di Dylan fanno parte di un gigantesco percorso di auto-analisi che coincide con la pubblicazione del primo volume delle memorie e la continua riscrittura - sera dopo sera, concerto dopo concerto - di un repertorio unico e in perenne rifacimento. Per Young, invece, si potrebbe parlare di una sperimentazione infinita: dopo aver percorso tutti i generi, realizzando anche dischi incomprensibili (come l'elettronico Trans e il rockabilly Everybody's Rockin') e lavorando con gruppi come i Pearl Jam e i Sonic Youth, sembra che ora il canadese voglia sperimentare sulle forme stesse della comunicazione. Living With War, che è un gesto politico prima ancora che un disco, è stato messo in rete (gratis) molto prima di arrivare nei negozi e continua ad essere, nel sito citato, un oggetto vivo e modificabile. Per dirne una: Young ha lanciato una campagna, ha invitato qualunque musicista che abbia scritto una canzone di protesta (sì, ha riciclato il vecchio adorabile termine «protest song») a inserirla nel sito. Il risultato è che, in una sezione intitolata Songs of the Times (canzoni dei tempi), si possonoascoltare ben 1.680 canzoni di illustri sconosciuti, e vedere 200 video: per avere il proprio pezzo nel sito basta inviarlo a songs@lwwtoday.com, anche un italiano può farlo. E chissà che non venga fuori qualche vero talento da una pesca così ampia: certo, chi volesse studiare la controcultura dell'America di Bush ha, in quei 1.680 pezzi, un materiale interessantissimo. Non male, tutto ciò, per un 62enne multimiliardario che potrebbe starsene nel suo ranch in California a girarsi i pollici. No, Neil Young è vivo e lotta insieme a noi, e viene l'acquolina in bocca pensando a ciò che i suoi archivi tireranno fuori nei prossimi anni. A noi piacerebbe, per motivi sentimentali, che Neil mettesse su disco il primo concerto italiano che tenne all'Arena di Verona nell'estate del 1982: eravamo militari e rischiammo la consegna di rigore per andarci, ma che importava, cos'era un giorno di più in caserma pur di poterlo sentire dal vivo? Era la tournée di Trans, Neil cantava alcuni pezzi col vocoder che gli filtrava la voce, ma era grandissimo e nel gruppo c'erano due geni come Nils Lofgren (poi chitarrista di Bruce Springsteen) e Bruce Palmer (già bassista dei mitici Buffalo Springfield). Comunque, entro il 2007 uscirà The Archives Vol.1 1963-1972, un cofanetto di 8 cd e 2dvd con materiali inediti, foto, lettere e un volume di 150 pagine. Se ne può vedere un trailer al sito www.repriserecords.com/neilarchives: succulento. È bello, ad aprile, sapere già cosa vogliamo per Natale.
Alberto Crespi, L'Unità
Anche in questa improvvisa apertura degli archivi, Young non arriva per primo. Con le sue Bootleg Series, Bob Dylan sta facendo qualcosa di simile da diversi anni, documentando la tournée con la Rolling Thunder Revue (il periodo ispanico e violinistico di Desire) e soprattutto la fondamentale tournée inglese durante la quale tradì il folk per cominciare a suonare elettrico. Qualcuno leggerà queste riesumazioni come un trucco commerciale: in fondo sia Bob che Neil, superati i 60, hanno il diritto di assicurarsi la pensione. Ma conoscendo i due artisti, non è così: le uscite di Dylan fanno parte di un gigantesco percorso di auto-analisi che coincide con la pubblicazione del primo volume delle memorie e la continua riscrittura - sera dopo sera, concerto dopo concerto - di un repertorio unico e in perenne rifacimento. Per Young, invece, si potrebbe parlare di una sperimentazione infinita: dopo aver percorso tutti i generi, realizzando anche dischi incomprensibili (come l'elettronico Trans e il rockabilly Everybody's Rockin') e lavorando con gruppi come i Pearl Jam e i Sonic Youth, sembra che ora il canadese voglia sperimentare sulle forme stesse della comunicazione. Living With War, che è un gesto politico prima ancora che un disco, è stato messo in rete (gratis) molto prima di arrivare nei negozi e continua ad essere, nel sito citato, un oggetto vivo e modificabile. Per dirne una: Young ha lanciato una campagna, ha invitato qualunque musicista che abbia scritto una canzone di protesta (sì, ha riciclato il vecchio adorabile termine «protest song») a inserirla nel sito. Il risultato è che, in una sezione intitolata Songs of the Times (canzoni dei tempi), si possonoascoltare ben 1.680 canzoni di illustri sconosciuti, e vedere 200 video: per avere il proprio pezzo nel sito basta inviarlo a songs@lwwtoday.com, anche un italiano può farlo. E chissà che non venga fuori qualche vero talento da una pesca così ampia: certo, chi volesse studiare la controcultura dell'America di Bush ha, in quei 1.680 pezzi, un materiale interessantissimo. Non male, tutto ciò, per un 62enne multimiliardario che potrebbe starsene nel suo ranch in California a girarsi i pollici. No, Neil Young è vivo e lotta insieme a noi, e viene l'acquolina in bocca pensando a ciò che i suoi archivi tireranno fuori nei prossimi anni. A noi piacerebbe, per motivi sentimentali, che Neil mettesse su disco il primo concerto italiano che tenne all'Arena di Verona nell'estate del 1982: eravamo militari e rischiammo la consegna di rigore per andarci, ma che importava, cos'era un giorno di più in caserma pur di poterlo sentire dal vivo? Era la tournée di Trans, Neil cantava alcuni pezzi col vocoder che gli filtrava la voce, ma era grandissimo e nel gruppo c'erano due geni come Nils Lofgren (poi chitarrista di Bruce Springsteen) e Bruce Palmer (già bassista dei mitici Buffalo Springfield). Comunque, entro il 2007 uscirà The Archives Vol.1 1963-1972, un cofanetto di 8 cd e 2dvd con materiali inediti, foto, lettere e un volume di 150 pagine. Se ne può vedere un trailer al sito www.repriserecords.com/neilarchives: succulento. È bello, ad aprile, sapere già cosa vogliamo per Natale.
Alberto Crespi, L'Unità
Come per il Live at Fillmore 1970, edito lo scorso Novembre, anche questo concerto del 19 Gennaio 1971 è stato uno dei bootleg più popolari della discografia di Neil Young. Ogni fan di Young ne possiede una o più copie. Ma, per il grande pubblico, rimane un album inedito. Si tratta di una performance voce e chitarra. Neil Young in purezza, come non lo abbiamo mai ascoltato (su disco). E poi, cosa più importante, Young ha finalmente annunciato sul suo sito web che pubblicherà, entro l'anno, il primo box dedicato agli archivi (Archives, Volume 1), che conterrà 8 CD e 2 DVD con registrazioni e filmati che coprono il periodo 1963-1972: registrazioni inedite, sia in studio che dal vivo, memorabilia varie e filmati dal vivo. Speriamo, a questo punto, che il box non contenga questi due Live, sarebbe un doppione inutile.
Mi ricordo che, all'inizio del 1971, circolavano diverse registrazioni di quel tour acustico di Young. Registrazioni di qualità già buona, in alcuni casi ottima. I due migliori concerti che mi era capitato di ascoltare erano entrambi dell'inizio 1971, quello alla Massey Hall (mitico tempio della musica di Toronto) e quello al Los Angeles Music Center del 1 Febbraio 1971. Due concerti splendidi dove Young, in forma e molto simpatico (dialogava spesso con il pubblico), eseguiva una serie di canzoni tratte dal suo repertorio ed anticipava addirittura brani come “Heart of Gold”, “Old Man” e “The Needle and the Damage Done” che sarebbero poi stati pubblicati, l'anno seguente, su Harvest. Dei due concerti, quello alla Massey Hall è ancora più lungo e completo.
Queste le canzoni eseguite quella serata: On The Way Home, Tell Me Why, Old Man, Journey Through The Past, Helpless, Love in Mind, A Man Needs a Maid / Heart of Gold Suite, Cowgirl in The Sand, Don't Let It Bring You Down, There's a World, Bad Fog of Loneliness, The Needle and the Damage Done, Ohio, See The Sky About To Rain, Down By The River, Dance Dance Dance, I Am A Child.
Voce e chitarra. Una voce tenue, talvolta fragile, che si perde nella notte: una voce però molto caratterizzata, che segna in modo indelebile le canzoni, già splendide, del loner canadese. Non per nulla Young è sulla breccia da quasi quaranta anni. Sentite “See The Sky about To Rain”, una delle gemme della serata, una ballata voce e piano da brividi, una delle tante ragioni per cui questo concerto andava assolutamente pubblicato. Sentitela e poi capirete il perché di queste parole entusiaste. Young era già grande, anzi grandissimo. Un disco come After The Gold Rush avrebbe consegnato ai posteri qualunque musicista. Ma lui stava per pubblicare Harvest e, proprio per Harvest (il suo disco più popolare di sempre) avrebbe poi sacrificato questa performance storica che, in un primo tempo, sembrava dover essere essere pubblicata.
“See The Sky About To Rain” non è ovviamente l'unica gemma. Il medley “A Man Needs A Maid/Heart of Gold” è da spellarsi le mani, emozione pura, con il piano che affianca la voce e scioglie note pulite e piene di poesia nell'etere (“A Man Needs A Mad”) mentre “Heart of Gold” è per chitarra, voce ed armonica ed è già un capolavoro (sentite la risposta del pubblico). “Love in Mind” scioglie i cuori, “Don't Let It Bring You Down” ci fa sognare da trenta e passa anni. La coppia finale “Dance Dance Dance” (che al tempo veniva anche chiamata “See The Girl Dance”) ed “I Am A Child” è ancora uno dei momenti vincenti della serata.
La voce fragile e la chitarra. “Old Man”, già brillava, “Bad Fog Of Loneliness” invece se la ricordano in pochi, “Ohio” era un inno (ma lo è ancora) contro la guerra e l'ingiustizia, “There's a World” e, sopratutto, “The Needle and the Damage Done” sono pezzi da novanta.
E che dire delle due jam elettriche “Cowgirl in The Sand” e “Down By The River” ridotte all'essenza folk, diventano due ballate di grande pathos al punto che, quasi, ci piacciono ancora di più in questa versione.
Un concerto di straordinaria bellezza. Ci ritorneremo una volta visionato il DVD che contiene filmati d'epoca interessanti e suggestivi. L'album esce il 13 di questo mese.
Paolo Carù
Mi ricordo che, all'inizio del 1971, circolavano diverse registrazioni di quel tour acustico di Young. Registrazioni di qualità già buona, in alcuni casi ottima. I due migliori concerti che mi era capitato di ascoltare erano entrambi dell'inizio 1971, quello alla Massey Hall (mitico tempio della musica di Toronto) e quello al Los Angeles Music Center del 1 Febbraio 1971. Due concerti splendidi dove Young, in forma e molto simpatico (dialogava spesso con il pubblico), eseguiva una serie di canzoni tratte dal suo repertorio ed anticipava addirittura brani come “Heart of Gold”, “Old Man” e “The Needle and the Damage Done” che sarebbero poi stati pubblicati, l'anno seguente, su Harvest. Dei due concerti, quello alla Massey Hall è ancora più lungo e completo.
Queste le canzoni eseguite quella serata: On The Way Home, Tell Me Why, Old Man, Journey Through The Past, Helpless, Love in Mind, A Man Needs a Maid / Heart of Gold Suite, Cowgirl in The Sand, Don't Let It Bring You Down, There's a World, Bad Fog of Loneliness, The Needle and the Damage Done, Ohio, See The Sky About To Rain, Down By The River, Dance Dance Dance, I Am A Child.
Voce e chitarra. Una voce tenue, talvolta fragile, che si perde nella notte: una voce però molto caratterizzata, che segna in modo indelebile le canzoni, già splendide, del loner canadese. Non per nulla Young è sulla breccia da quasi quaranta anni. Sentite “See The Sky about To Rain”, una delle gemme della serata, una ballata voce e piano da brividi, una delle tante ragioni per cui questo concerto andava assolutamente pubblicato. Sentitela e poi capirete il perché di queste parole entusiaste. Young era già grande, anzi grandissimo. Un disco come After The Gold Rush avrebbe consegnato ai posteri qualunque musicista. Ma lui stava per pubblicare Harvest e, proprio per Harvest (il suo disco più popolare di sempre) avrebbe poi sacrificato questa performance storica che, in un primo tempo, sembrava dover essere essere pubblicata.
“See The Sky About To Rain” non è ovviamente l'unica gemma. Il medley “A Man Needs A Maid/Heart of Gold” è da spellarsi le mani, emozione pura, con il piano che affianca la voce e scioglie note pulite e piene di poesia nell'etere (“A Man Needs A Mad”) mentre “Heart of Gold” è per chitarra, voce ed armonica ed è già un capolavoro (sentite la risposta del pubblico). “Love in Mind” scioglie i cuori, “Don't Let It Bring You Down” ci fa sognare da trenta e passa anni. La coppia finale “Dance Dance Dance” (che al tempo veniva anche chiamata “See The Girl Dance”) ed “I Am A Child” è ancora uno dei momenti vincenti della serata.
La voce fragile e la chitarra. “Old Man”, già brillava, “Bad Fog Of Loneliness” invece se la ricordano in pochi, “Ohio” era un inno (ma lo è ancora) contro la guerra e l'ingiustizia, “There's a World” e, sopratutto, “The Needle and the Damage Done” sono pezzi da novanta.
E che dire delle due jam elettriche “Cowgirl in The Sand” e “Down By The River” ridotte all'essenza folk, diventano due ballate di grande pathos al punto che, quasi, ci piacciono ancora di più in questa versione.
Un concerto di straordinaria bellezza. Ci ritorneremo una volta visionato il DVD che contiene filmati d'epoca interessanti e suggestivi. L'album esce il 13 di questo mese.
Paolo Carù
Il concerto che Neil Young tenne alla Massey Hall di Toronto nel gennaio 1971 ha circolato per decenni in forma di bootleg, ricercato e amato dai fan del canadese e non da loro soltanto.
Se diamo anche solo un'occhiata ai 17 brani in scaletta non fatichiamo a capire il motivo di tanto entusiasmo; alcune di queste canzoni erano già dei classici, altre lo sarebbero diventate ben presto.
Questa incredibile performance vede finalmente la luce in veste ufficiale nell'ambito dell'operazione di apertura degli Archives di Young, partita lo scorso anno, come bene ha illustrato Andrea Belcastro nella sua recensione del Live at the Fillmore East.
Va premesso che la qualità audio del cd è eccellente, e la Musa della poesia siede al fianco di Neil Young per tutto il concerto.
Alla Massey Hall l'atmosfera è più intima e raccolta rispetto al Fillmore, il set è acustico, data l'assenza dei fidi Crazy Horse. Young si accompagna di volta in volta con la chitarra o con il piano e intrattiene il pubblico tra una canzone e l'altra, con il suo peculiare sense of humour, percorso da una vena di timidezza, che i presenti mostrano di gradire.
L'audience ascolta rapita, lasciandosi trascinare in un battito di mani di accompagnamento solo in Dance Dance Dance, che entrerà di lì a poco nell'album di esordio dei Crazy Horse.
Lo stesso raccoglimento viene spontaneo anche a chi ascolti il disco oggi, perché la disposizione d'animo del musicista, la passione con la quale interpreta tutte le canzoni, rendendole piccole gemme senza tempo, non ammette rumori che distolgano l'ascolto e che ci facciano uscire dal piccolo mondo nel quale Young ci consente di entrare.
In apertura e in chiusura troviamo due classici dal repertorio degli ultimi Buffalo Springfield (“On the way home” e “I am a child”).
Da Everybody Knows This Is Nowhere sono tratte “Down by the River” e “Cowgirl in the Sand”, che producono un effetto strano in chi ha presente le versioni originali. Così nude, spogliate degli incroci di chitarre con Danny Whitten e rette dalla sola chitarra acustica, sono se possibile ancora più evocative, ci fanno capire che una canzone mostra la sua bellezza anche quando le si toglie l'abito da sera.
Altri brani noti quali “Don't Let Bring You Down” e “Tell Me Why” provengono da After The Gold Rush, pubblicato l'anno precedente (1970) e “Helpless” da Dejà Vu, il bellissimo secondo lavoro di Crosby, Stills, Nash con lo stesso Young.
Accanto a pezzi conosciuti compare quella che sarà l'ossatura del successivo Harvest: “There's a world, A Man Needs a Maid, Heart of Gold” (tutte al piano, le ultime due unite in un'unica suite), la meravigliosa “Old Man”, tra le mie preferite e “The Needle and the Damage Done”, qui eseguita per la prima volta e dedicata a Danny Whitten, l'amico e compagno artistico, che morirà per un'overdose nel 1972.
Il resto della tracklist, quindi “Love in Mind”, “Journey Through the Past”, “See the Sky About to Rain” troverà spazio anni dopo su Time Fades Away e On The Beach, mentre “Bad Fog of Loneliness” non comparirà più in release ufficiali.
Questo concerto racchiude al meglio la poetica dell'autore: malinconia, inquietudine, rabbia, anche gioia, ma sempre contenute da un senso della misura e del pudore rari da trovare.
Difficile scegliere le canzoni migliori di questo live, ciascuna presa da sola varrebbe l'acquisto di un cd, e farebbe la fortuna di ognuno degli epigoni che Neil Young ha figliato, soprattutto nell'ultimo decennio, nani sulle spalle di un gigante.
Alessandro Fusè, storiadellamusica.it
Se diamo anche solo un'occhiata ai 17 brani in scaletta non fatichiamo a capire il motivo di tanto entusiasmo; alcune di queste canzoni erano già dei classici, altre lo sarebbero diventate ben presto.
Questa incredibile performance vede finalmente la luce in veste ufficiale nell'ambito dell'operazione di apertura degli Archives di Young, partita lo scorso anno, come bene ha illustrato Andrea Belcastro nella sua recensione del Live at the Fillmore East.
Va premesso che la qualità audio del cd è eccellente, e la Musa della poesia siede al fianco di Neil Young per tutto il concerto.
Alla Massey Hall l'atmosfera è più intima e raccolta rispetto al Fillmore, il set è acustico, data l'assenza dei fidi Crazy Horse. Young si accompagna di volta in volta con la chitarra o con il piano e intrattiene il pubblico tra una canzone e l'altra, con il suo peculiare sense of humour, percorso da una vena di timidezza, che i presenti mostrano di gradire.
L'audience ascolta rapita, lasciandosi trascinare in un battito di mani di accompagnamento solo in Dance Dance Dance, che entrerà di lì a poco nell'album di esordio dei Crazy Horse.
Lo stesso raccoglimento viene spontaneo anche a chi ascolti il disco oggi, perché la disposizione d'animo del musicista, la passione con la quale interpreta tutte le canzoni, rendendole piccole gemme senza tempo, non ammette rumori che distolgano l'ascolto e che ci facciano uscire dal piccolo mondo nel quale Young ci consente di entrare.
In apertura e in chiusura troviamo due classici dal repertorio degli ultimi Buffalo Springfield (“On the way home” e “I am a child”).
Da Everybody Knows This Is Nowhere sono tratte “Down by the River” e “Cowgirl in the Sand”, che producono un effetto strano in chi ha presente le versioni originali. Così nude, spogliate degli incroci di chitarre con Danny Whitten e rette dalla sola chitarra acustica, sono se possibile ancora più evocative, ci fanno capire che una canzone mostra la sua bellezza anche quando le si toglie l'abito da sera.
Altri brani noti quali “Don't Let Bring You Down” e “Tell Me Why” provengono da After The Gold Rush, pubblicato l'anno precedente (1970) e “Helpless” da Dejà Vu, il bellissimo secondo lavoro di Crosby, Stills, Nash con lo stesso Young.
Accanto a pezzi conosciuti compare quella che sarà l'ossatura del successivo Harvest: “There's a world, A Man Needs a Maid, Heart of Gold” (tutte al piano, le ultime due unite in un'unica suite), la meravigliosa “Old Man”, tra le mie preferite e “The Needle and the Damage Done”, qui eseguita per la prima volta e dedicata a Danny Whitten, l'amico e compagno artistico, che morirà per un'overdose nel 1972.
Il resto della tracklist, quindi “Love in Mind”, “Journey Through the Past”, “See the Sky About to Rain” troverà spazio anni dopo su Time Fades Away e On The Beach, mentre “Bad Fog of Loneliness” non comparirà più in release ufficiali.
Questo concerto racchiude al meglio la poetica dell'autore: malinconia, inquietudine, rabbia, anche gioia, ma sempre contenute da un senso della misura e del pudore rari da trovare.
Difficile scegliere le canzoni migliori di questo live, ciascuna presa da sola varrebbe l'acquisto di un cd, e farebbe la fortuna di ognuno degli epigoni che Neil Young ha figliato, soprattutto nell'ultimo decennio, nani sulle spalle di un gigante.
Alessandro Fusè, storiadellamusica.it
Neil Young ha svoltato i sessanta rischiando la vita e forse per quello si è messo a guardare il passato in maniera diversa. Ora le chiacchiere stanno a zero, finalmente, ora dopo tanto dire e non fare il Solitario ha preso la guida della macchina del tempo e ha deciso di portarci là dove tutti da anni speravamo, "in a journey through the past." Naturalmente c’è un prezzo da pagare, quei suoi modi tanto particolari e pasticcioni: così la collana dei nastri d’archivio si è inaugurata con un Volume 2, saltando l’1 che chissà cosa sarà, e con uno show dimezzato, solo il set elettrico del Fillmore East ’71. Però è pur sempre un inizio, e subito si continua: il volume 3 uscito in queste settimane è un concerto acustico (intero) registrato alla Massey Hall di Toronto il 19 gennaio 1971, nel periodo più dolce e felice e creativo di tutta la vita artistica Younghiana. Bene così, e ancora meglio quel che ci attende dopo l’estate, ormai è ufficiale: il primo volume dell’audiobiografia definitiva, 1963-1971, otto CD e due DVD di rarità e inediti e non solo, "riprese cinematografiche, foto spettacolari, lettere personali e un libro di 150 pagine". Se ne parlava da anni, i fan avevano finito le speranze e ormai anche le imprecazioni.
La Massey Hall è una mitica sala di Toronto, dedicata alla musica sin da fine ’800. Charlie Parker vi si esibì nel maggio 1953 per quello che qualcuno definì "the greatest jazz concert ever", con una formazioncina niente male di Dizzy Gillespie, Bud Powell, Charles Mingus, Max Roach. Young vi approda diciott’anni dopo, gennaio 1971, alla fine di un breve tour del Canada iniziato il giorno dell’Epifania a Vancouver. È teso e commosso, in giorni febbrili. Toronto era stata l’ultima tappa del suo peregrinare canadese nella primavera 1966, da lì aveva spiccato il volo verso la California, i Buffalo Springfield, la gloria rock. Cinque anni dopo vi torna da trionfatore, con due vite di successo, non una sola: è il solista commovente di After The Gold Rush, l’album che da settembre ha scosso le classifiche americane e britanniche, ed è la quarta forza di Crosby, Stills, Nash & Young, il supergruppo che ha segnato la musica americana del 1970 esprimendo i sogni e le energie della Nazione di Woodstock - quelli di Dejà Vu, marzo 1970, quelli di 4 Way Street, il live che uscirà di lì a poco raccogliendo i nastri di una tournèe trionfale.
Young piace fin da quegli anni giovani per la mutevole scorza della sua ispirazione. Sa essere tenero e burbero, scorbutico, graffiante, nostalgico. Si emoziona ricordando la Natura selvaggia della sua infanzia, ha un tuffo al cuore ripensando agli amori vissuti, si indigna per l’America di Richard Nixon, del razzismo, della droga, dello scontro generazionale. I suoi show vivono di questi umori contrastanti: bufere elettriche e ballate scioglicuore, “Ohio” e “I Am A Child”. Gli piace farsi accompagnare da un trio di chitarre, basso e batteria, i Crazy Horse, ma quel tour canadese lo conduce da solo. Ha fatto lo stesso a inizio dicembre, due date alla Carnegie Hall, provando voce e chitarra un repertorio che dai Buffalo Springfield è scivolato ai pezzi più recenti, alla molta musica anche inedita di quel 1970. I risultati sono stati notevoli, la casa discografica ha registrato gli show e mastica l’idea di un live. Lo annuncia a gennaio in un comunicato stampa, fornendo un elenco di brani che fa pensare a un’antologia di nastri diversi. Non se ne farà nulla, Young ha altro in testa. Scrive, registra, i concerti gli servono solo da allenamento e conferma. Nella sua mente già accarezza Harvest, che nasce giusto in quei mesi anche se vedrà la luce un anno più tardi.
Camicia scozzese e capelli lunghi, una sedia in mezzo al palco buio, solo uno spot a illuminarlo. Quel giovane Young ispirato si può anche vederlo, in un DVD allegato alla versione de luxe di Live at Massey Hall. È emozionato ma si fa forza e allora parla, parla tanto fra un brano e l’altro, cerca il dialogo, introduce, fa battute, forse per dissimulare la tensione. Racconta di avere scritto tre canzoni nuove negli ultimi giorni, accenna al fatto che si è comprato un ranch in California, rimprovera bonariamente chi applaude una canzone annunciata ("ma se non l’avete mai ascoltata!"). Introducendo “Bad Fog Of Loneliness”, la maledice così: "Ogni sei mesi tengo una riunione con le mie canzoni per decidere quali registrare. Questa non è mai stata neanche invitata." Resterà sempre una pecora nera.
La musica è una delizia. Young alterna chitarra acustica e pianoforte seguendo la sua vena più dolce, smussando gli angoli, levigando la materia che tante volte invece, allora e dopo, aveva voluto e preferirà grezza, scabra. Placa il furore di “Ohio”, esorcizza i sinistri spiriti di “Down By The River” e trova una continuità tra quelle inquietudini e le sue ballate più gentili, “Tell Me Why” o “Love In Mind” o “I Am A Child”. Il pubblico lo segue rapito: c’è nell’artista un gusto particolare nel proporre proprio lì, a casa, canzoni struggentemente canadesi come “Journey Through The Past”, come “Helpless”, a cui fa riscontro da parte di chi ascolta un gioioso e forte orgoglio - quel figlio del Nord ha impiegato davvero poco a entrare nel Gotha della nuova musica.
Il repertorio è speciale. Young si abbandona volentieri a canzoni nuove e sottopone al pubblico soprattutto quelle di Harvest, ancora nell’uovo. Sono momenti magici: “Old Man”, “There’s A World”, “The Needle And The Damage Done” non hanno il peso di centinaia di esecuzioni e anni di innamorato uso e abuso ma volano lievi con la grazia delle prime volte, umili devote raccolte. L’apice lo tocca il medley di “A Man Needs A Maid/Heart Of Gold”, con il giovane grizzly che si impegna a sfiorare dolce i tasti del pianoforte con le sue ungulate zampe. Possiamo dirlo? Meglio, molto meglio di quanto poi suonerà in studio, quando verrà deciso l’arrangiamento finale e prevarranno tinte più forti, vestiti pesanti.
Dicono che quando riascoltò il nastro dei concerti (pomeriggio e sera, come allora usava) l’amico e produttore David Briggs se ne innamorò a tal punto da consigliare un cambio di programma, uno spostamento in là di Harvest per fare posto a quella delizia live. Sarebbe stata una mossa saggia, e Dio solo sa quanto gradita da noi giovani capelloni invasati di West Coast, searchin’ for a heart of gold. Ma i discografici avevano in programma 4 Way Street e non volevano intralci mentre Young, lo dicevamo prima, voleva Harvest sognava Harvest, non aveva altro nei suoi pensieri. Così non se ne fece nulla, così dovemmo accontentarci di gracchianti vinili Trademark Of Quality con un altro show di quel periodo, il set acustico del Fillmore East, per soddisfare la nostra voglia di quel Neil Young nudo e puro, voce e chitarra, visto nella realtà da poche migliaia di appassionati e immaginato, desiderato invece da milioni di appassionati.
Trentacinque anni dopo, il nastro della Massey Hall suona come un dolce risarcimento; e forse ancora più gradite le parole di Young a commento di quelle lontane prodezze: "Sono canzoni bellissime, c’è un’aria speciale. Ora capisco perché David si disperò all’epoca quando non volli dargli retta."
Riccardo Bertoncelli, delrock.it
La Massey Hall è una mitica sala di Toronto, dedicata alla musica sin da fine ’800. Charlie Parker vi si esibì nel maggio 1953 per quello che qualcuno definì "the greatest jazz concert ever", con una formazioncina niente male di Dizzy Gillespie, Bud Powell, Charles Mingus, Max Roach. Young vi approda diciott’anni dopo, gennaio 1971, alla fine di un breve tour del Canada iniziato il giorno dell’Epifania a Vancouver. È teso e commosso, in giorni febbrili. Toronto era stata l’ultima tappa del suo peregrinare canadese nella primavera 1966, da lì aveva spiccato il volo verso la California, i Buffalo Springfield, la gloria rock. Cinque anni dopo vi torna da trionfatore, con due vite di successo, non una sola: è il solista commovente di After The Gold Rush, l’album che da settembre ha scosso le classifiche americane e britanniche, ed è la quarta forza di Crosby, Stills, Nash & Young, il supergruppo che ha segnato la musica americana del 1970 esprimendo i sogni e le energie della Nazione di Woodstock - quelli di Dejà Vu, marzo 1970, quelli di 4 Way Street, il live che uscirà di lì a poco raccogliendo i nastri di una tournèe trionfale.
Young piace fin da quegli anni giovani per la mutevole scorza della sua ispirazione. Sa essere tenero e burbero, scorbutico, graffiante, nostalgico. Si emoziona ricordando la Natura selvaggia della sua infanzia, ha un tuffo al cuore ripensando agli amori vissuti, si indigna per l’America di Richard Nixon, del razzismo, della droga, dello scontro generazionale. I suoi show vivono di questi umori contrastanti: bufere elettriche e ballate scioglicuore, “Ohio” e “I Am A Child”. Gli piace farsi accompagnare da un trio di chitarre, basso e batteria, i Crazy Horse, ma quel tour canadese lo conduce da solo. Ha fatto lo stesso a inizio dicembre, due date alla Carnegie Hall, provando voce e chitarra un repertorio che dai Buffalo Springfield è scivolato ai pezzi più recenti, alla molta musica anche inedita di quel 1970. I risultati sono stati notevoli, la casa discografica ha registrato gli show e mastica l’idea di un live. Lo annuncia a gennaio in un comunicato stampa, fornendo un elenco di brani che fa pensare a un’antologia di nastri diversi. Non se ne farà nulla, Young ha altro in testa. Scrive, registra, i concerti gli servono solo da allenamento e conferma. Nella sua mente già accarezza Harvest, che nasce giusto in quei mesi anche se vedrà la luce un anno più tardi.
Camicia scozzese e capelli lunghi, una sedia in mezzo al palco buio, solo uno spot a illuminarlo. Quel giovane Young ispirato si può anche vederlo, in un DVD allegato alla versione de luxe di Live at Massey Hall. È emozionato ma si fa forza e allora parla, parla tanto fra un brano e l’altro, cerca il dialogo, introduce, fa battute, forse per dissimulare la tensione. Racconta di avere scritto tre canzoni nuove negli ultimi giorni, accenna al fatto che si è comprato un ranch in California, rimprovera bonariamente chi applaude una canzone annunciata ("ma se non l’avete mai ascoltata!"). Introducendo “Bad Fog Of Loneliness”, la maledice così: "Ogni sei mesi tengo una riunione con le mie canzoni per decidere quali registrare. Questa non è mai stata neanche invitata." Resterà sempre una pecora nera.
La musica è una delizia. Young alterna chitarra acustica e pianoforte seguendo la sua vena più dolce, smussando gli angoli, levigando la materia che tante volte invece, allora e dopo, aveva voluto e preferirà grezza, scabra. Placa il furore di “Ohio”, esorcizza i sinistri spiriti di “Down By The River” e trova una continuità tra quelle inquietudini e le sue ballate più gentili, “Tell Me Why” o “Love In Mind” o “I Am A Child”. Il pubblico lo segue rapito: c’è nell’artista un gusto particolare nel proporre proprio lì, a casa, canzoni struggentemente canadesi come “Journey Through The Past”, come “Helpless”, a cui fa riscontro da parte di chi ascolta un gioioso e forte orgoglio - quel figlio del Nord ha impiegato davvero poco a entrare nel Gotha della nuova musica.
Il repertorio è speciale. Young si abbandona volentieri a canzoni nuove e sottopone al pubblico soprattutto quelle di Harvest, ancora nell’uovo. Sono momenti magici: “Old Man”, “There’s A World”, “The Needle And The Damage Done” non hanno il peso di centinaia di esecuzioni e anni di innamorato uso e abuso ma volano lievi con la grazia delle prime volte, umili devote raccolte. L’apice lo tocca il medley di “A Man Needs A Maid/Heart Of Gold”, con il giovane grizzly che si impegna a sfiorare dolce i tasti del pianoforte con le sue ungulate zampe. Possiamo dirlo? Meglio, molto meglio di quanto poi suonerà in studio, quando verrà deciso l’arrangiamento finale e prevarranno tinte più forti, vestiti pesanti.
Dicono che quando riascoltò il nastro dei concerti (pomeriggio e sera, come allora usava) l’amico e produttore David Briggs se ne innamorò a tal punto da consigliare un cambio di programma, uno spostamento in là di Harvest per fare posto a quella delizia live. Sarebbe stata una mossa saggia, e Dio solo sa quanto gradita da noi giovani capelloni invasati di West Coast, searchin’ for a heart of gold. Ma i discografici avevano in programma 4 Way Street e non volevano intralci mentre Young, lo dicevamo prima, voleva Harvest sognava Harvest, non aveva altro nei suoi pensieri. Così non se ne fece nulla, così dovemmo accontentarci di gracchianti vinili Trademark Of Quality con un altro show di quel periodo, il set acustico del Fillmore East, per soddisfare la nostra voglia di quel Neil Young nudo e puro, voce e chitarra, visto nella realtà da poche migliaia di appassionati e immaginato, desiderato invece da milioni di appassionati.
Trentacinque anni dopo, il nastro della Massey Hall suona come un dolce risarcimento; e forse ancora più gradite le parole di Young a commento di quelle lontane prodezze: "Sono canzoni bellissime, c’è un’aria speciale. Ora capisco perché David si disperò all’epoca quando non volli dargli retta."
Riccardo Bertoncelli, delrock.it
Voci, riportate dall'autorevole Billboard, dicono che Neil Young voglia prendersi un periodo di riposo. Meritato, vista la quantità di materiale sfornata nell'ultimo periodo, a cui si aggiunge un nuovo bootleg ufficiale: è il secondo, dopo il deludente Live at Fillmore East di qualche mese fa. E, tanto per non smentirsi, in autunno dovrebbe finalmente arrivare l'atteso box di inediti tratti dagli archivi: 8 cd più DVD di materiale tratto dal periodo fino a metà degli anni '70.
Nel frattempo, ci si può godere finalmente del materiale che vale la pena ascoltare. Il concerto è uno show acustico registrato a Toronto nel 1971, con il solo Neil ad affrontare un repertorio che al tempo era largamente inedito, e che sarebbe finito in parte sul capolavoro Harvest (1972), in qualche casso su Times Fades Away (1973) o On The Beach (1974). Un periodo, dicono gli storici, ampiamente documentato dai bootleg in mano ai fan. Ma questa volta, non è il punto. Il punto è invece che Live at Massey Hall è un concerto che vale la pena di ascoltare a prescindere, sia che siate fan o meno: presenta un repertorio di classici, da “The needle and the damage done” a “Cowgirl in the sand”; presenta pure un paio di canzoni rimaste inedite (“Bad fog of loneliness” e “Dance dance dance”). Presenta un Neil Young insolitamente chiaccherone, e sopratutto una performance minimale e intensa, sia quando il canadese imbraccia la chitarra acustica, sia quando passa al piano (la bellissima “See the sky about to rain”, che sarebbe poi finita appunto su On The Beach).
Ciò che rende valido questo disco, a differenza del volume precedente, è che non è soltanto rivolto ai fan e ai completisti. È un disco che va oltre il valore documentario. E un disco ma è indicato per chiunque apprezzi Neil Young, anche per chi lo conosce poco. Poi, i dubbi rimangono: Live at Massey Hall continua con la numerazione incoerente (l'etichetta riporta “The Neil Young Archives Vol. 3”, ma si tratta della seconda uscita; viene il dubbio che il Vol.1 sia l'atteso box), e viene pubblicato in doppia CD+DVD, con il secondo disco che comprende il concerto in versione 5.1 e video (uno scarno filmato a camera fissa). Continuiamo ad avere diversi dubbi su queste scelte, ma questa volta si tratta di dettagli trascurabili di fronte alla qualità musicale del CD.
Gianni Sibilla
Nel frattempo, ci si può godere finalmente del materiale che vale la pena ascoltare. Il concerto è uno show acustico registrato a Toronto nel 1971, con il solo Neil ad affrontare un repertorio che al tempo era largamente inedito, e che sarebbe finito in parte sul capolavoro Harvest (1972), in qualche casso su Times Fades Away (1973) o On The Beach (1974). Un periodo, dicono gli storici, ampiamente documentato dai bootleg in mano ai fan. Ma questa volta, non è il punto. Il punto è invece che Live at Massey Hall è un concerto che vale la pena di ascoltare a prescindere, sia che siate fan o meno: presenta un repertorio di classici, da “The needle and the damage done” a “Cowgirl in the sand”; presenta pure un paio di canzoni rimaste inedite (“Bad fog of loneliness” e “Dance dance dance”). Presenta un Neil Young insolitamente chiaccherone, e sopratutto una performance minimale e intensa, sia quando il canadese imbraccia la chitarra acustica, sia quando passa al piano (la bellissima “See the sky about to rain”, che sarebbe poi finita appunto su On The Beach).
Ciò che rende valido questo disco, a differenza del volume precedente, è che non è soltanto rivolto ai fan e ai completisti. È un disco che va oltre il valore documentario. E un disco ma è indicato per chiunque apprezzi Neil Young, anche per chi lo conosce poco. Poi, i dubbi rimangono: Live at Massey Hall continua con la numerazione incoerente (l'etichetta riporta “The Neil Young Archives Vol. 3”, ma si tratta della seconda uscita; viene il dubbio che il Vol.1 sia l'atteso box), e viene pubblicato in doppia CD+DVD, con il secondo disco che comprende il concerto in versione 5.1 e video (uno scarno filmato a camera fissa). Continuiamo ad avere diversi dubbi su queste scelte, ma questa volta si tratta di dettagli trascurabili di fronte alla qualità musicale del CD.
Gianni Sibilla