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Rassegna stampa d'epoca: Fillmore East e il tour 1970


Articoli sul tour di Neil Young & Crazy Horse del 1970 tratti da Rolling Stone e Archives Vol.1. Segue un estratto da Shakey: A Neil Young Biography.


Nell'approccio alla musica di Young è diventato tutto così personale che quando suona in pubblico la prima impressione è che se ne dimentichi. Ma è un'impressione superficiale, infatti la sua musica richiede un'attenzione estetica e lui finisce per stabilire rapidamente una relazione talmente intima con gli ascoltatori che perfino l'anonima palestra di un college sembra diventare un confortevole club. Così ha fatto alla palestra del Contra Costa Junior College, oltre il Bay Bridge di San Francisco. E le voci che arrivano da tutte le altre città toccate dal primo tour di coi Crazy Horse riportano che in pochissimo tempo hanno ovunque avuto la meglio sulla folla. Young sta finalmente raccogliendo i riconoscimenti che gli sono stati negati fin dai frustranti giorni coi Buffalo Springfield.
Come quello di CSNY, anche il concerto di Young comincia con un set acustico. Young suona la chitarra acustica in maniera dura e percussiva, pur mantenendo intatte le accattivanti melodie, come nella tenera “I Am A Child”. In solitudine fa anche “Broken Arrow”, il collage elettronico su Buffalo Springfield Again e conclude la parte acustica con “The Loner” nella quale stiracchia il testo alla maniera di Dylan […]. È la più potente dichiarazione che un uomo solo può fare. I Crazy Horse (il chitarrista Danny Whitten, il bassista Billy Talbot, il batterista Ralph Molina e il pianista elettrico Jack Nitzsche) si sono aggiunti per il resto dello spettacolo. I Crazy Horse sono una band in grado di dare a Young il supporto di cui ha bisogno. Hanno aperto con “Everybody Knows This Is Nowhere”, poi hanno eseguito un brano nuovo e infine “Down By The River”, la canzone che la folla stava aspettando, quella che conoscevano meglio. Coi Crazy Horse a far da sottofondo, Young ha dimostrato un sorprendente virtuosismo. Percorrendo il palco coi suoi jeans rappezzati e scuotendo su e giù la testa al ritmo della musica, ha tirato fuori, apparentemente dal nulla, degli incredibili fraseggi chitarristici, impilando l'una sull'altra cataste di note, in modo di non far dimenticare ai presenti il verso: “Ho sparato alla mia baby!”.
Tra una canzone e l'altra ha ammaliato il pubblico con storie semiserie e osservazioni sull'erba imitando con la voce le inflessioni di quello che fa il figo. La gente ha risposto applaudendo ogni canzone sin dai primi accordi, perfino quelle nuove e non conosciute. Il set si è leggermente calmato con un'altra nuova canzone, “Wondering” e con un brano di Whitten intitolato “Come On Baby Let's Go Downtown” (i Crazy Horse stanno lavorando a un album di loro canzoni). Poi è ricominciato a crescere con “Cinnamon Girl” accolta da un'ovazione in piedi sebbene non fosse l'ultima canzone. Ha chiuso “Cowgirl In The Sand”, la composizione più romantica e fino a oggi più riuscita, un altro veicolo per una urlante, lunga improvvisazione.
Parte della forza di Young resta nel suo immaginario che, pur essendo a volte strano, risulta quasi sempre ricco ed evocativo. Un'altra dote è la voce alta e tremante, assolutamente unica. Young sembra molto più a proprio agio coi Crazy Horse che si adattano al suo stile meglio di qualunque altro gruppo con cui il canadese abbia mai lavorato. In questa serata non potevano permettersi di sbagliare e, lasciando la palestra, ho notato che tutti tornavano a casa felici. È facile capire perché.
Rolling Stone 1970

Neil Young è emerso come uno dei più importanti giovani cantautori oggi in circolazione, grazie al suo lavoro con Crosby, Stills, Nash & Young, i Buffalo Springfield e ora con il suo personale gruppo, i Crazy Horse.
Venerdì notte i Crazy Horse hanno suonato al Contra Costa College ed è stato uno dei migliori concerti a cui ho assistito da molto tempo. Non solo Neil Young sa mettere una tempesta in versi, ma sa suonare e il gruppo è stupendo.
Young ha aperto lo show con un set in solitudine con la chitarra acustica. È stato nobile e commovente e anche quando suonava le parti di chitarra senza strofe, la musica ti travolgeva.
Neil Young ha una voce curiosa e una curiosa presenza. Appare inizialmente addolorato, la sua voce è alta e talvolta insicura. Ma ciò non importa quando attacca una canzone. Come Bob Dylan, diventa di fatto uno stile. “I Am A Child” e “Helpless” sono state l'apice.
Una prova della statura di Neil Young, guarda caso, è il fatto che il suo pubblico riconosce le sue canzoni sin dai primi accordi. Scrive i testi con insolite immagini e concetti, e con un senso armonico affascinante. “Broken Arrow” per esempio, mi appare come un classico contemporaneo, una delle più grandi canzoni degli ultimi anni. La versione solista è considerevolmente più toccante di quella originale degli Springfield.
Dopo un piccolo intervallo, Young è ritornato insieme al resto del gruppo per dare il via ai Crazy Horse. Con il chitarrista Dan Whitten e la tastiera di Jack Nitzsche, il potente basso di Billy Talbot e la regolare batteria di Ralph Molina, hanno ruggito il loro bellissimo set.
“Everybody Knows This Is Nowhere” è un'altra eccellente canzone di Neil Young che i Crazy Horse hanno eseguito efficacemente. “Down By The River”, che ha girato molto per le radio, è usata come veicolo per lunghe ed eccitanti improvvisazioni, che dimostrano grandemente la statura di Young come chitarrista. Dan Whitten ha contribuito a una bel pezzo rock, “Come On Baby Let's Go Downtown”, quindi il gruppo si è lasciato andare in “Cinnamon Girl” e “Cowgirl In The Sand”.
Il tutto ha costituito un'atmosfera meravigliosa e pulsante, con la musica che gridava alla gente dentro al palazzetto. Young ha ripetutamente cantato i suoi versi d'amore – il tema principale, sebbene egli usi dei toni sinistri. Il pubblico ha cantato in gran parte con lui, le canzoni hanno un profondo effetto personale. […]
Ralph J. Gleason, San Francisco Chronicles 1970

[…] Young ha iniziato lo show, come sempre, eseguendo in acustico alcuni classici come “Nowadays Clancy Can't Even Sing” e “I Am A Child” (dal catalogo Springfield a cui contribuì proficuamente), “The Loner” (dai primi giorni della carriera solista post-Springfield), “Helpless” e “Country Girl” (sicuramente due ottime selezioni dal nuovo album di Crosby & co.), e qualcosa di nuovo come “We're All Alone”.
Gran parte sono caratterizzate dalla gentile sfumatura di futilità, disperazione e rassegnazione che permea molto del suo lavoro. La sua timida e tremolante mezza voce le rende toccanti in un modo che non si può descrivere – in quella impacciata ma perfetta voce uno capisce che Young sta cantando di dolori reali, non immaginati. […]
Young ha risparmiato le canzoni in cui grida il suo risentimento per la metà elettrica dello show, quella supportata dai quattro Crazy Horse. A simboleggiare queste altre canzoni basta “Down By The River”, dove il cantante ribatte alla disperazione del rifiuto della sua donna non con nostalgia lacrimosa, ma uccidendola.
Come al solito, i brani elettrici sono più sensuali e terribili dei precedessori acustici. La strategia di Neil, per gran parte di esse, è quella di cantare le strofe iniziali e poi creare un'atmosfera quasi insopportabile di tensione prima delle ultime strofe, con infinite e sfrenate chitarre e il martellante continuo accordo dei Crazy Horse. […] La parte elettrica dello show è eccitante tanto quanto quella acustica è squisita.
A mio parere, lui è la miglior cosa nel rock 'n' roll americano in questo momento.
John Mendelsohn, Los Angeles Times 1970

Fillmore, N.Y. - Oggigiorno, Neil Young è noto come “lo Young” di Crosby, Stills, Nash & Young. Lo scorso weekend al Fillmore, è stato semplicemente il Neil Young di Neil Young, occasionalmente con i Crazy Horse. È una buona cosa che è apparso da solo per un set, tanto quanto che sia apparso con CS&N, perché Young è un musicista e un cantautore di incredibile talento. Un talento individuale può disperdersi nell'oceano di un gruppo di supercelebrità.
Forse poi Neil Young è il meglio di entrambe le cose. Merita certamente l'apparizione come solista. Young è uno dei migliori cantautori della scena del rock. […]
L'apparizione di Young al Fillmore è stata saggiamente suddivisa in due parti, la prima di Young da solo, seduto su una sedia con la chitarra acustica. Il materiale era così noto al pubblico che c'erano applausi non appena introduceva i primi accordi, il che lo ha fatto fermare e commentare che la gente sapeva in anticipo cosa lui avrebbe deciso di suonare.
C'è stato un eccellente contrasto tra la sottile intensità della prima metà della performance e la seconda metà, di rock trascinante, quando si è unito ai Crazy Horse. […] Il gruppo è emerso grazie alla popolarità di Neil Young. Sono lì lì per far uscire un lp con la Warner Bros. […]
N.S., Cashbox Magazine 1970

Nonostante molta di quella musica è rimasta inedita [fino ad Archives, ndt], le incisioni negli studi Sunset Sound/Larrabee/Topanga e gli show registrati live al Fillmore nel marzo 1970 – il grande periodo perduto della line-up originale degli Horse – sono parte del miglior rock and roll che sia mai stato fatto. […]
Tra febbraio e marzo 1970 Young fece un tour per piccoli teatri insieme agli Horse, ingrandendo la band con un nuovo esplosivo musicista: Jack Nitzsche. Nitzsche – uno dei pochissimi musicisti professionisti che non spaventava gli Horse – suonò il pianoforte elettrico, e le sue note sparse e ricche aggiunsero colore alle nuove canzoni come “Winterlong” e “It Might Have Been”, una vecchia ballad che Young aveva imparato nei balli della chiesa. Nitzsche non era un fan degli Horse e presto si stancò dei loro limiti. Billy diceva, 'I Crazy Horse non sono una band, sono come una squadra di basket'. Penso di essere d'accordo, disse Jack. Ma la combinazione di Young e Whitten era elettrizzante. Danny era l'unico uomo nero della band, replicò Jack.
Il 6 e il 7 marzo la band suonò quattro set al Fillmore East, due dei quali vennero registrati in previsione di un live album, e queste incisioni catturano gli Horse in tutta la loro gloria, includendo una versione torrenziale di “Down By The River” che supera l'intensità della versione originale in studio. Gli assoli maniaci di Young accennano alla grandezza futura, e Nitzsche contribuisce a un sottofondo jazz-blues incredibilmente complesso per gli Horse.
Young è felicemente strafatto tra le canzoni, assegnando ai membri della band false città di provenienza, o introducendo “The Loner” con un'ironica citazione della recensione di un singolo nel magazine Cashbox: “Questa canzoncina potrebbe far risorgere Young come una fenice dalle ceneri dei Buffalo Springfield”. […]
J. McDonough, Shakey: A Neil Young Biography

Traduzioni di Matteo 'Painter' Barbieri, Rockinfreeworld

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