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Rassegna stampa d'epoca: Riverboat e il club tour 1969


Articoli sul concerto del Riverboat Club del 1969 ed altre esibizioni del periodo, tratti da Neil Young Archives Vol.1. In conclusione un estratto da Shakey: A Neil Young Biography.

[…] Neil ora è tornato a casa al Riverboat, dove già aveva suonato le domeniche quando viveva a Yorkville, ma è stato un ritorno trionfale per il cantautore ventitreenne.
Era un po' nervoso all'apertura mentre sedeva con la sua chitarra – suo padre lo guardava suonare per la prima volta. […] Ha fatto circa 100.000 dollari con gli Springfield e oggi ne ha circa 75.000 in investimenti – abbastanza per poter fare ciò che crede. […] Poi, lo scorso maggio, gli Springfield hanno fatto l'ultimo tour, l'ultimo disco intitolato Last Time Around, e sono scomparsi.
Le luci si sono affievolite al Riverboat e Neil, in un paio di blue jeans usurati, camicia di plaid e stivali da cowboy segnati, ha preso la chitarra ed è salito sul piccolo palco di legno per andare avanti da solo.
Michael Bennet, Peterborough Examiner, 1969

Cominci con l'ammirare il coraggio di Neil Young di fare ciò che è in grado. Ma se ti soffermi abbastanza, viene fuori tanto altro da apprezzare. Scopri, ad esempio, il totale incanto della sua musica.
Almeno così è stato per me ad ascoltarlo cantare e suonare e scherzare nel suo modo, da solo e senza accompagnamento, nel suo set d'apertura la notte scorsa al Riverboat dove sarà per il resto della settimana.
Solo qualche mese fa, Neil Young era avvolto nel caldo sound del gruppo Buffalo Springfield. Hanno registrato tre bei dischi, tutti adatti a una collezione critica di rock, e hanno prodotto una top 10 hit single, “For What It's Worth”. Young ha contribuito con ammirevoli canzoni ad ogni album, in particolare “Expeting To Fly” e “Broken Arrow” sul secondo album e “I Am A Child” sul terzo. […]
Young al Riverboat ieri sera, da solo [...] ha fatto le sue cose personali. È lui, ed è incredibilmente grande. Canta con una voce sottile sottile, quasi in falsetto, con un lieve tremolio sulla fine del verso, con una bella dizione, con un po' di country nel suo sound e – perdonatemi lo sciovinismo – con una presenza che è decisamente canadese. Se cerchi per forza paragoni, vedi che lo stile e il sound di Neil Young ricordano quelli di Rick Danko e dei percorsi musicali di alcuni altri membri della meravigliosa band che ha inciso Music From The Big Pink, molti dei quali, lo ricorderete, sono bravi e onesti ragazzi canadesi.
Neil ha cantato un paio di canzoni del periodo degli Springfield - “Broken Arrow” e “I Am A Child” - e alcuni dei nuovi pezzi che sta scrivendo per il suo primo album. Come il materiale più vecchio, tendono a trattare di innocenza e amore, e io li ho trovati tutti, musica e testi, toccanti e convincenti. Quando canta, alla fine di una canzone d'amore, “Can you feel it now? Can you feel it now?” [“Lo puoi sentire ora? Lo puoi sentire ora?”, ndt] c'è un'unica risposta. “Sì.”
La sua ultima canzone del primo set, una nuova intitolata “Last Trip To Tulsa”, è lievemente più ambiziosa. Ha il feeling di un poema epico, uno sforzo di ricreare alcune scene della vita di Young, e sebbene credo che la scorsa notte non sia stata resa con tutta la forza che richiede, è una buona canzone e vorrei sentirla qualche altra volta.
Non voglio dare l'impressione che Young sia un performer solenne, impettito. Non lo è. In effetti è un amicone divertente, con un tocco di velenosità e simpatia in alcuni dei suoi intermezzi. Ha azzeccato la leggermente ridicola architettura del Riverboat in una delle sue battute. Con tutti voi seduti su un lato del tavolo, ha detto, questo posto sembra l'Ultima Cena. […]
Jack Batten, Toronto Daily Star, 1969

[…] Neil Young, la forza più creativa dietro i Buffalo Springfield, canta questa settimana a Le Hibou. Il suo miglior materiale rimane in generale quello scritto per i Buffalo Springfield; canzoni come “Broken Arrow”, “Mr. Soul” e “Expecting To Fly”. Il resto dei brani non sono così interessanti armonicamente. I testi suonano simili a quelli di Bob Dylan del '63-'64. Ma questa è una generalizzazione, perché parte del suo nuovo lavoro è abbastanza solida. In effetti, un pezzo scritto la scorsa settimana intitolato “Hello” è stata la gemma della serata, una perfetta fusione tra testo e melodia. E il testo surrealistico di “Last Trip To Tulsa” è vera arte, in tutti i sensi.
Come chitarrista Young è al suo meglio, come gli accordi in progressione di “My Side” dimostrano. Sulla ballad “Perfect Stranger” svela un'alta e crescente linea vocale mentre la chitarra scende nei minori. Anche se c'era un generale somiglianza in tutto il materiale, la qualità era alta al punto che non importava. C'è molta poesia nella musica, e molto spirito.
Lee Edwards, The Ottawa Citizen

[…] "Sai quei ragazzini di Yorkville con capelli lunghi e sporchi e senza una direzione?" Ride. "Io ero uno di quelli. Ho cercato di lavorare come folksinger in tutti quei club ma non mi hanno neanche preso sul serio. Dicevano: vattene, ragazzo."
I suoi capelli sono ancora lunghi […] ma quando ritorna a Yorkville per la prima volta dopo tre anni, martedì notte, sarà al Riverboat con il cachet da star e il supporto della Warner Bros. con la quale ha appena pubblicato il suo primo album. […]
"Non ho mai voluto essere in un gruppo", spiega. "Sono venuto qui per tentare da solo e improvvisamente ero in un gruppo che faceva ottima musica ed era grandioso. Ma dopo il secondo album proprio non potevo più trarre niente dalla band. C'erano troppi problemi di personalità – questioni di ego. Sai, cominci e ogni cosa è forte. Poi diventi popolare e fai i soldi, e quando hai i soldi improvvisamente tutte queste pollastre girano intorno al gruppo con nient'altro da fare se non trovare ogni scusa per andare a letto con uno del gruppo – uno qualsiasi, non importa chi – e si chiamano groupies. So che sembra irrilevante con le questioni musicali, ma fidati, è la vera ragione. […]"
E ora si sta creando un mondo per conto suo in questa incredibile casa sul lato del Canyon, un mondo pieno delle cose che lo rendono felice: antichità ispanico-americane ed esotici tappeti [...], uno studio di registrazione, un cane mezzo husky chiamato Winnipeg e una mezza dozzina di gatti persiani con pedigree.
C'è anche una bionda e solare donna, Susan, con capelli che le scivolano sulla vita, e la sua bambina di sette anni, Thea, egualmente solare. […]
Marci MacDonald, Toronto Daily Star, 1969
Neil Young è un giovane con la tendenza a iniziare male ma finire al top. Lasciò Toronto tre anni fa, quando il suo nome non significava niente al di fuori dell'area di Yorkville. Anziché adagiarsi ed essere un grande pesce in un piccolo acquario decise di lanciarsi. E l'ha fatto. È diventato un grande pesce in un grande acquario, in effetti nel più grande acquario che c'è – la scena pop americana.
L'ha fatto come cantante, chitarrista e compositore con i Buffalo Springfield, il gruppo con cui è stato sin dal suo arrivo a Los Angeles. […] Poi ha deciso di lanciare la sua carriera solista, in un momento in cui gli artisti solisti erano richiesti tanto quanto una vacanza invernale a Baffin Island. Anziché spendere mesi nel circuito delle coffeehouse, Young ha registrato in studio un LP per la Reprise. Due settimane fa, ha fatto la sua prima apparizione nei club, a Le Hibou, in Ottawa. Questa settimana è in scaletta al Riverboat di Toronto.
[…] Young sembrava privo di alcuna preoccupazione. Questo è rimarchevole se si considerano le seccature che ha avuto con i Buffalo Springfield […]. La sua voce era sottile, talvolta effeminata; il suo modo di suonare un fascinoso mix tra il gentile e lo stridulo. Le canzoni avevano una forza melodica cadenzata. Alcune, come “I Am A Child” (la migliore degli Springfield) erano sorprendenti. Altre erano esitanti.
In breve, Young si è dimostrato un cantante convincente con un raro senso dell'obiettivo. Poi ha parlato dei suoi piani futuri. Ho formato un gruppo chiamato Crazy Horse. Tre tizi – chitarra, basso e batteria – e io alla chitarra principale. Io sono il boss. Non lavorerò ancora come membro di un gruppo. All'inizio mi sentivo colpevole. Poi ho realizzato che sono a questo punto. È un cambiamento notevole da tutto ciò che ho fatto prima. […]
Ritchie Yorke, Toronto Globe & Mail, 1969

Young uscì per alcune date da solo in ottobre e novembre [1968]. Il 10 novembre, al termine di due giorni di spettacolo alla Canterbury House ad Ann Harbor, Michigan, fece la sua prima incisione live come artista solo, che fu la definitiva “Clancy” e la “Sugar Mountain” che presto sarebbe diventata una celebre b-side.
Alla fine di gennaio e ai primi di febbraio [1969], apparve da solo in Canada, prima alla coffeehouse Le Hibou, poi per sei giorni al locale che un tempo frequentava, il Riverboat di Toronto. Gli show canadesi furono tutti registrati e contengono parecchie gemme, in particolare una perfetta “Flying On The Ground Is Wrong”.
La serie del Riverboat è senza dubbio fondamentale, dice l'archivista Joel Bernstein. Neil ha questa voce innocente, sottile, che non è veramente presente negli Springfield. A suonare la chitarra era migliorato fortemente. Penso fosse davvero a suo agio da solo, a suonare nei piccoli club – non aveva urgenza di avere un gruppo, non voleva qualcuno che cantasse armonizzazioni – e torna a raccontare le canzoni dei Buffalo in modo davvero toccante.
Ma una band avrebbe raggiunto Young subito dopo questi show, al Bitter End di New York City, a cominciare dal 12 febbraio [1969]. Young avrebbe fatto un piccolo set acustico, poi i Crazy Horse sarebbero saliti sul palco. […]
J. McDonough, Shakey: A Neil Young Biography

Traduzioni di Matteo 'Painter' Barbieri, rockinfreeworld

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