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Neil Young & Crazy Horse: World Record (Reprise Records, 2022)


1. Love Earth
2. Overhead
3. I Walk With You (Earth Ringtone)
4. This Old Planet (Changing Days)
5. The World (Is In Trouble Now)
6. Break The Chain
7. The Long Day Before
8. Walkin’ On The Road (To The Future)
9. The Wonder Won’t Wait
10. Chevrolet
11. This Old Planet (Reprise)

Crazy Horse: Neil Young, Billy Talbot, Nils Lofgren, Ralph Molina 

Prodotto da Rick Rubin


World Record arriva come terzo album consecutivo dei "nuovi" Crazy Horse (la line-up con Lofgren al posto di Sampedro, il quale si gode beato la pensione alle Hawaii) e alza l'asticella rispetto a Colorado e Barn. Lofgren è tecnicamente superiore e più poliedrico rispetto a Poncho, e finalmente abbiamo un lavoro in cui la sua presenza accanto a Young è valorizzata e porta un contributo che Poncho non avrebbe potuto dare.
In Colorado e Barn la mancanza della chitarra muscolare di Poncho era palpabile essendo dischi con molte chitarre elettriche. In World Record ce ne sono molte meno, e infatti è l'album dei Crazy Horse che meno somiglia a un album dei Crazy Horse, perché la band ha trovato la sua nuova forma. O meglio ha trovato un produttore in grado di farla emergere su disco.
Il merito infatti è probabile che vada a Rick Rubin più che a Young. Rubin ha mantenuto la fedeltà esecutiva di Young, spontanea e senza fronzoli (e spesso senza secondi take), facendo però il suo sporco mestiere nell'ottenere un sound e un arrangiamento di qualità. La differenza nel risultato finale, rispetto a Colorado e Barn (ma possiamo andare indietro con esempi di mediocre produzione fino a The Monsanto Years), è evidente sin dal primo ascolto.
Beninteso, non stiamo parlando di un disco stratificato: il Cavallo rimane essenziale, spoglio e piuttosto abrasivo anche quando usa strumenti acustici. Questo è un trademark ed è stato valorizzato anche questo a livello produttivo.
L'asticella è un po' più in alto anche per quanto riguarda le canzoni. Tre quarti dell'album si possono definire buoni e ben bilanciati tra musica e testi (e una metà è anche più che buona). Solo il restante quarto lo affossa un po', ma nessuno pretende dei dischi perfetti da un cantautore di 77 anni con una cinquantina di album alle spalle. La presenza della musa, qui, si sente quasi dovunque, e anche questo distingue World Record dai precedenti due lavori in studio, più sfilacciati.
"Mentre cerco di portare alla luce i sentimenti / Provo a farlo nel modo giusto" canta Young in "The World (Is In Trouble Now)", e sebbene il "modo giusto" non sia più quello di un tempo, poetico e simbolico, il più delle volte riesce nel tentativo. Il nostro consiglio è di ascoltare l'album più volte, in tutta calma, perché non è un lavoro da giudicare frettolosamente dopo un primo ascolto.
Come dicevamo all'inizio, gran parte dei brani dell'album ha un impianto acustico e, peraltro, predilige l'organo o il pianoforte rispetto alla chitarra. Solo 3 pezzi su 11 (anche se di fatto sono 10, considerato che l'ultimo è un breve "reprise") vedono protagonisti le chitarre elettriche. Come minutaggio, però, la somma dei 3 pezzi elettrici arriva a 23 minuti circa... la metà dei 46 totali! Quindi, alla fine, parliamo di un album per metà acustico e per metà elettrico.
A trainare il lato elettrico è certamente "Chevrolet", 15 minuti di viaggio (letteralmente) a bordo di una vecchia Chevrolet lungo l'autostrada dei ricordi, che si srotola davanti agli occhi di Neil: "Amico, quell’auto mi parlava", canta, per poi tornare su uno dei temi portanti di questo lavoro, il passato che non può ritornare, che tinge le note di tanta malinconia: "È una strada su cui non possiamo ritornare / Una curva che abbiamo già fatto / Oh, ma mi sento così bene / ... / L'autostrada affollata è sparita / Le strade che ci siamo lasciati alle spalle sono andate / Le ritrovo nel posto in cui vivono dentro di me".
Sulla stessa linea è "I Walk With You (Earth Ringtone)" che, a discapito della parentesi, non parla solo della Terra e dell'ambiente (altro argomento che sta molto a cuore a Young), o meglio lo fa riflettendo sull'osservare i cambiamenti durante una vita intera, una vita che sta durando a lungo. "Ho visto i cambiamenti passare fuori dalla finestra della mia vita / Sono così grato di aver vissuto per tutti questi anni / Dalle foglie che cadono alla neve tra gli alberi / E le primavere e le estati che abbiamo conosciuto / Mentre andavano e venivano io percorrevo la mia vita / A modo mio con i miei ricordi e il mio amore / Osservo le cose cambiare e mi chiedo come possa la terra / Prendere una strada che non ho mai visto". Quando Young riflette piuttosto che declamare il risultato è decisamente migliore.Musicalmente il pezzo accosta una melodia dolce e malinconica a un'accentuata distorsione elettrica, riuscendo a creare qualcosa di semplice ed emozionante allo stesso tempo, in primis l'assolo, il cui unico difetto è durare troppo poco.
"Break The Chain" è molto più telegrafica, sullo stile di brani come "Piece Of Crap": riff diretti, crudi, pochi versi che procedono per semplici immagini o concetti, sfiorando vari temi in modo appena percepibile e, quindi, ampiamente interpretabile. "Amerò ogni mio respiro / Nel profondo della mia anima, generata dal mio cuore che batte / Spezza la catena, spezza la catena". E ancora: "Quando esco e prendo un respiro profondo / È come se stessi danzando. Sto danzando con la morte?"
L'organo a pompa domina "The World (Is In Trouble Now)", un bizzarro miscuglio di rock, blues e un cantato simil-rap, dove Young, senza preoccuparsi granché della metrica (e che sarà mai!), si sofferma sul suo rapporto con il mondo: "La luce del sole illumina / I miei ricordi del passato / La gioia di tutte le cose che ho trovato / La Terra mi ha tenuto stretto perciò io / Non la abbandonerò mai". Per poi ammettere, quasi candidamente e senza giri di parole, che la fine si fa sempre più vicina: "Sono oltre il tempo che dovevo conoscere / Sto aspettando fuori vista".
Anche "The Wonder Won't Wait" è sorretta dall'organo, a cui si aggiunge qualche sprazzo di chitarra. Meno convincente da un punto di vista musicale (suona davvero come una prova in studio), si difende bene per il testo, forse il più criptico ma anche il più sorprendente dell'intero album. "La meraviglia non aspetterà / Che tu riesca a raggiungere le stelle / Prenditi del tempo per vivere prima di morire / Perché la meraviglia non aspetterà". Young costruisce una sua immagine (non facile da interpretare e tradurre) per comunicarci che è meglio non perdere tempo a cercare di raggiungere la perfezione perché la meraviglia (o le meraviglie) della vita non aspettano, ed è bene coglierla quando c’è. Insomma una rivisitazione del classico "carpe diem". "Devi andare oltre te stesso", conclude, perché "sta succedendo qualcosa di grosso e tu ne sei parte".
Il ritmo di "Overhead" è invece quello di un pianoforte da saloon, che lascia il posto all'organo solo nel ponte centrale, risultando in una piacevole e morbida ballad. A livello testuale, si apre settando in qualche modo gli intenti generali (diciamo che potrebbe essere il disclaimer dell'album!): "Stavo passeggiando in un sogno / E non potevo ricevere il messaggio / Hai provato a chiamarmi ma non ero in casa / È più di quello che sembra / E sto cogliendo un po’ di significato / Ma non sono sicuro di riuscire a afferrarlo tutto". E poco dopo: "Sto guardando l’oceano / Cercando di capire se il mio posto è là fuori", confermandoci che non bastano 77 anni, e non ne basterebbero nemmeno 100, per inquadrare l'intero significato, perciò non resta che interrogarci... magari facendo buona musica.
Ballad melodica più classica, "This Old Planet (Changing Days)" è impreziosita dalla fisarmonica di Lofgren che la eleva in modo vertiginoso, calcando sulla malinconia implicita delle parole, che si rivolgono a un passato idilliaco (quello dell'infanzia in Canada) dalla forte connotazione naturale, un classico di tante canzoni di Young sin dai tempi di "Helpless". "È passato molto tempo / Da quando eravamo solo dei bambini / Il sole sorgeva e il sole tramontava / E i giorni cambiavano / ... / Non sei solo su questo vecchio pianeta / È ancora tutto tuo per fare quello che puoi". Di nuovo, quando Young accenna all'ambiente in questi termini il risultato c'è molto più che quando "chiama alle armi".
Abitudine in cui, comunque, ricasca anche in World Record, come ha fatto in ogni album da ormai un decennio a questa parte. "Love Earth" è fin troppo chiara a riguardo: "Ama la Terra / E il tuo amore sarà contraccambiato / Ama la Terra / È una cosa così semplice da fare / Ama la Terra / Finché l’acqua e l’aria non saranno puri". Se lo faremo torneremo a vivere nel giardino dell'eden: "L’acqua era cristallina / Vivevamo sotto al sole e avevamo tutto / Vivevamo un sogno". Il problema di mettere "Love Earth" in apertura dell'album è che disincentiverà qualcuno a continuare ad ascoltarlo.
Ma la vera e propria fiera del clichè è "Walkin' On The Road (To The Future)", che presenta un'irritante armonica che saltella tra strofe sul genere di: "Camminate con me fratelli e sorelle del futuro / Verso il mondo e la Terra per come li conoscevamo / Mano nella mano / Pugno contro pugno / Senza più armi / E senza più guerra".
Molto debole, per non dire inconsistente, anche "The Long Day Before": "Nei vecchi giorni e nei giorni più recenti / Nel presente e nel futuro / Domani non sarà mai tardi / Se i tuoi sogni possono diventare realtà".
Le canzoni di World Record non sono certo poesia, i concetti che esprimono sono semplici così come lo sono le melodie e gli arrangiamenti, ma il più delle volte il connubio tra questi elementi funziona e, pur senza brillare, arriva al punto a cui vuole (e deve) arrivare. I toni non sono sempre alti, nel complesso sono medi e ci sono un paio di brusche cadute e un altro paio di cosette trascurabili. Metà dei brani, però, a nostro parere sono la miglior cosa partorita dai "nuovi" Crazy Horse da quando si sono formati. L'ispirazione c'è, il sentimento c'è. World Record è un album davvero sentito. Forse quella foto di Scott Young in copertina, e quelle date di nascita riportate accanto a tutti i nomi che compaiono sul booklet (a sottolineare l'incedere implacabile del tempo e l'incombere del futuro, cose di cui le canzoni parlano), era sin dall'inizio un segno che ci fosse all'opera qualche forza diversa dal solito.
Ed è un bene che stavolta l'operato di Young e degli Horse sia stato supervisionato e gestito da un produttore del calibro di Rubin, perché le stecche imperdonabili che si sentivano in Colorado e Barn qui non ci sono. World Record, in gran parte, torna a valorizzare nel modo giusto l'estetica younghiana della spontaneità, del "live in studio", quella che ci fa ripensare sempre a dischi come Zuma, Ragged Glory e Psychedelic Pill. Va da sé che non siamo a quei livelli, ma lo spirito c'è tutto.

MPB, Rockinfreeworld






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