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Waging Heavy Peace - Recensioni internazionali

Quando andavo a scuola (molto tempo fa, ma abbiate pazienza) mia madre e io avemmo una discussione su Neil Young. Stavo ascoltando a tutto volume uno dei suoi album – Rust Never Sleeps o Zuma? - e lei venne nella mia stanza dicendomi di spegnere. Quando protestai che Young era un genio, mia madre mi guardò come se parlassi una lingua a lei sconosciuta. “Se fosse un genio”, mi disse, “non suonerebbe la chitarra elettrica”. Continuavo a pensare a quella conversazione mentre leggevo Waging Heavy Peace: A Hippie Dream di Young, di sicuro una delle rock star più idiosincratiche che abbia conosciuto, e la cui copertina già dimostra il suo genio (sì) e il suo eccesso. 500 pagine di digressioni libere da qualsiasi forma, a tratti esilarante, a tratti snervante, poco autobiografia e più autoritratto, con tutto l'impressionismo che ciò implica. Da un lato, Waging Heavy Peace è un caos – disordine e improvvisazione come una jam di 40 minuti in “Like A Hurricane”. Ma rivela anche e persino (talvolta) una curiosa bellezza, una meditazione stream-of-consciousness su dove Young è stato, su ciò che ha pensato e, forse la parte più rivelatrice, su dov'è ora. “Non che conti molto,” ci spiega, “ma recentemente ho smesso di fumare e di bere... La grande domanda a questo punto, per me, è se sarò capace di scrivere canzoni in questo modo. Non l'ho ancora fatto, e quella era una parte importante della mia vita. Ovviamente ora ho 65 anni e la mia scrittura non fluisce così facilmente come un tempo, ma d'altra parte sto scrivendo questo libro. Ti farò sapere come va.” Il fumare a cui si riferisce, naturalmente, è la marijuana, una delle chiavi della sua creatività. Un'altra componente di Waging Heavy Peace è una non del tutto voluta sobrietà. Scritto nel 2011 durante un periodo di pausa nella composizione musicale, questo libro di memorie è più una registrazione dei suoi dubbi creativi, delle paure e delle incertezze dell'invecchiare, che non la storia dei suoi anni con i Buffalo Springfield o con Crosby Stills Nash & Young. “A quest'età”, scrive a proposito di un'altra scampagnata con i Crazy Horse, la sua band più vecchia, “credo che essere rilevanti sia una gran sfida... Dobbiamo essere sicuri che le nuove canzoni e la musica siano pronte e significhino qualcosa per noi. Sono il nostro biglietto, il nostro veicolo verso il futuro, e senza nuove canzoni faremmo solo un revival del passato.” Come poi si è saputo, la reunion dei Crazy Horse è avvenuta per davvero; Young e la band hanno pubblicato, quest'anno, un disco di cover e uno di nuove canzoni, Psychedelic Pill, che arriverà a fine mese. Ma è incredibile vedere una figura così prominente come Young – uno dei cinque o dieci musicisti più influenti del rock – esprimere se stesso senza filtri. “Come saprai”, scrive in una delle frasi direttamente rivolte al lettore, “se sei ancora con me, io non ho molto controllo su questo. Ho riscritto solo un paragrafo finora. Nella vita non c'è controllo ortografico. Oggi soffia un forte vento e io ne sono parte. Voglio fare la differenza e, sopra tutto, voglio essere una brava persona d'ora in poi”. Questo modo sbrigativo e diretto è stato per molto tempo la chiave della musica di Young; lui arriva senza pretese. Persino Trans, il disco elettronico del 1982, aveva le sue radici nell'esperienza di tutti i giorni, ispirandosi al figlio Ben, nato cerebroleso e bisognoso di attenzioni continue. E ancora, Young è come il mercurio e si distrae facilmente, come dimostra la sua errante carriera. Il suo disco più commerciale, Harvest del 1972, fu seguito da una manciata di album (Time Fades Away, On The Beach, Tonight's The Night) conosciuti come “trilogia oscura” a causa della loro distanza dalla “retta via”. Lui se ne andava da qualsiasi gruppo con cui suonava; la rottura più famosa fu quella con Stephen Stills nel 1976, quando gli inviò un telegramma con scritto “Buffo come certe cose inizino spontaneamente e altrettanto spontaneamente finiscano. Mangiati una pesca. Neil”. A onor del vero l'aneddoto non appare in Waging Heavy Peace. C'è un limite anche nell'arte di rivelarsi, immagino. Ma rimane istruttivo e suggerisce qualcosa a proposito dell'approccio di Young anche a questo progetto. Come la sua discografia, queste memorie non hanno una forma apparente – o, più precisamente, una forma che emerga dalla sua non-forma, dalla tendenza al vagabondare, tra gli alti e bassi dell'attenzione di Young, in balia della memoria. Per molti versi si svela in tempo reale, con ponderazioni sulla sua sobrietà, su progetti non musicali come Lincvolt (un'auto elettrica) o Puretone (un sistema per riprodurre il sound digitale in alta fedeltà), così come costanti aggiornamenti sul libro stesso. “È da sette mesi che sono pulito”, scrive in uno dei capitoli finali. “È un buon periodo di tempo. Sento ancora la voglia. Magari mi farò una birra... magari uno spinello... Non ho scritto una canzone in oltre sei mesi, ed è strano per me. Però ho scritto più di novantamila parole per questo libro, e anche questo è strano per me.” Quello che ve ne farete è la stessa cosa di ciò che ve ne fate di Young: non quello di Harvest o After The Gold Rush ma l'autore della “trilogia oscura”. Come quei dischi, Waging Heavy Peace non è un'opera destinata all'ammiratore casuale o al lettore generico, come possono esserlo Life di Keith Richards o Just Kids di Patti Smith. Eppure ciò conferisce al libro un'autenticità che non dipende tanto dalle storie che Young ci racconta ma dal come ce le racconta, dalla sua tendenza al guardare avanti e non indietro. “Perché così pensieroso riguardo al passato?” chiede. “Cosa può dirti o fare per te, adesso?” Domande strane per l'autobiografia di una rock star ma che allo stesso tempo ci ricordano cos'è che distingue Young. “Come faccio,” continua, “dopo quarant'anni in giro, a scendere a patti coi risultati del passato? Me ne sbarazzo? Lo lascio ad altri in grado di valorizzarlo di più? Ero io? O chi sono ora, che non riesco a vedermi o incontrarmi com'ero prima? Non sta a me saperlo, perché sono pieno di cose da fare e non ho proprio tempo”. 
David Ulin, LA Times


I fan di Neil Young che lo seguono sin dagli anni 60 si sono abituati alle svolte improvvise. Ci sono gli assoli violenti di chitarra e il vibrante rock dei Crazy Horse. Ci sono le cadenzate melodie acustiche come “Harvest Moon”. Ci sono esperimenti elettronici. Momenti di genio e deviazioni imprudenti. Nessuno dovrebbe sorprendersi del fatto il suo primo libro di memorie, Waging Heavy Peace, sia esattamente la stessa cosa. Lo stile è a flash sparpagliati, tra cui una descrizione dei Crazy Horse come un organismo vivente che mostra un'acuta sensibilità artistica che un non-musicista non potrebbe avere, e anche il racconto di un giorno alle Hawaii in cui ha fatto la spesa pregando di trovare lo spazzolino da denti elettrico. Evita generalmente di parlare nello specifico del songwriting. Ma comunque ammette candidamente che la canzone “Alabama”, che portò i Lynyrd Skynyrd a rispondere con “Sweet Home Alabama”, fu un'imprudenza. Le passioni di Young – famiglia, trenini elettrici, automobili e un sistema audio per migliorare la qualità dei file digitali – occupano il medesimo spazio della musica. “Quando esci con qualcuno la conversazione non segue sempre una linea precisa, da A a B”, dice. “Si parla di ciò che viene in mente. Le cose succedono. Vedi una cosa dalla finestra, te ne interessi. Sei distratto dalle cose. Ho sempre pensato che fosse il modo naturale di procedere.” Alla fine un lettore impara più cose su Young che non se lui avesse fatto uso dello “scrittore fantasma”, una pratica che disprezza. “È un'idea terrificante”, dice, “quella di avere un fantasma per casa”. Un po' di tempo libero e un alluce rotto hanno convinto il rocker 66enne, membro della Rock Hall of Fame, a portare a compimento il progetto. Era già nel suo sangue. Il padre, scomparso nel 2005, era un celebre giornalista e scrittore canadese. Young è sempre stato attento a sovrintendere la propria carriera musicale ed è abbastanza sorprendente che abbia voluto rivolgersi al proprio passato personale nella stessa maniera. “Tutto il mio modus operandi era che il libro doveva uscire spontaneamente dalla mia testa”, dice. “Non volevo sprecare tempo nell'organizzare. Per me ha sempre funzionato così per qualsiasi cosa ho fatto”. Ha anche scritto con la mente pulita, senza alcol o marijuana, quest'ultima sconsigliata dal suo medico in quanto continuare a fumarla lo porterebbe alla demenza senile, male di cui anche il padre soffriva. Non è stata una decisione facile. Young racconta che ha scritto praticamente tutte le sue canzoni mentre era sballato, e si chiede se sarà capace di farlo senza. Il fiume del suo songwriting è stato in secca per più di un anno prima di ricominciare, e ora sta per pubblicare un doppio album intitolato Psychedelic Pill, il 30 ottobre, che contiene epiche jam con i Crazy Horse. Young scrive in modo commovente a proposito della sua famiglia e dell'ammirazione per il figlio Ben, affetto da handicap cerebrale. C'è un pesante senso di perdita anche per i vecchi amici scomparsi, come Danny Whitten dei Crazy Horse e il produttore David Briggs. Era chiaramente sconvolto quando Kurt Cobain lasciò nel messaggio suicida la citazione “it's better to burn out than to fade away”. Il libro non è un gossip. Non andate a cercare chi ha dormito insieme a chi, o chi litiga con chi. Alcuni dei riferimenti diretti alle celebrità sono frivolezze (Linda Ronstadt andava matta per il burro di arachidi), nonostante Young non poteva resistere a fare una battuta sul “collezionismo chimico avanzato” di David Crosby. “Proprio non ci faccio caso”, dice Young. “Dire tutto? Dire cosa? Non mi piace leggere di quelle cose e certo non scriverne.” Molti riferimenti alle celebrità sono obliqui, come un paragrafo dove parla del “mio amico Paul”. “Io e Paul siamo amici perché entrambi abbiamo conosciuto e amato Linda, che incontrai perla prima volta ai giorni dei Buffalo Springfield.” scrive. “Linda era una bellissima ragazza. Oggi restiamo in contatto periodicamente e parliamo di musica o di qualsiasi altra cosa. Paul mi piace molto.” Aspetta un momento. Sta parlando di McCartney? (Sì). E intendeva che Linda McCartney, la cui foto di Young è sulla retrocopertina, ha avuto una relazione con Neil prima di Paul? (No). Il suo agente talvolta ha incitato Young a fornire più dettagli. Spesso lui ha risposto no. Young dice che non legge le recensioni della sua musica, ma ha dato un'occhiata a qualche recensione del libro. Sono miste: l'Entertainment Weekly lo definisce un “guazzabuglio lievemente surreale che a stento ha i suoi momenti”, mentre il Wall Street Journal lo definisce impressionante, “umile, onesto, divertente e spesso commovente”. Young ha già scritto parte del seguito, dice che ha iniziato parlando di automobili e di cani ma ora è più focalizzato sui giradischi. Non è che sta abbandonando la musica, comunque. Quest'autunno c'è un tour dei Crazy Horse. “Quando la musica avrà finito con me, mi sentirò bene,” dice. “In questo momento la sto ancora facendo perché viene naturale. Se mai arriverà il punto in cui nel farla non le renderò giustizia, non darò il mio meglio, mi fermerò.” 
David Bauder, Winnipeg Free Press

traduzioni di Matteo 'Painter' Barbieri

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