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Waging Heavy Peace - Rassegna Stampa


La Bellezza permea ogni pagina di questo libro. E' difficile leggere di una vita in cui tutti gli eventi (piacevoli e non) si concatenano in maniera equilibrata contribuendo a creare – in questo caso - Neil Percival Young, ossia l'Artista Neil Young. Una cavalcata ... le circa 400 pagine in cui, come una mandria allo stato brado, la mano di Young tratteggia gli eventi della sua vita, estraniandosi dalla stessa per arrivare ad analizzare con sincerità assoluta il proprio percorso.
Bellezza, dicevamo, è quella della passione. La passione che investe e riveste la sua dimensione intima e familiare, sopra tutto il suo amore per i figli. L'apparente facilità con cui affronta la disabilità è disarmante, ma al contempo si percepisce la fragilità della lotta quotidiana per superarla.
La Bellezza della scrittura. Perchè è un libro scritto bene (anche tradotto benissimo da Marco Grompi e Davide Sapienza che conoscono Neil meglio di chiunque altro in Italia), elegante nel fraseggio, merito forse di un padre scrittore che gli consigliava di scrivere ogni giorno. Un libro composto, come lui stesso dice, per prendere tempo o “forse perchè non fumo più erba....Da un lato mi chiedo se sarò capace di scrivere canzoni da sobrio e dall'altro dico che probabilmente sto scrivendo questo libro proprio perchè sono sobrio.”
La Bellezza della Filosofia. Nel senso stretto del termine: ossia di Amore verso la Sapienza. La sapienza, intesa come consapevolezza, di una vita sì vissuta ai limiti, ma attento a non oltrepassare quei limiti che ti permettono di rendere alla vita stessa cio' che ti ha donato, ossia il dono della musica: “I Crazy Horse...sono la mia finestra sul mondo cosmico dove la musa vive e respira, mi ci posso ritrovare dentro e andare in quella zona speciale della mia anima dove le canzoni pascolano, come i bisonti. La mandria è ancora lì e le pianure sono sconfinate.....Quello è il posto della mia anima dove vive la musica.
La Bellezza della musica, della ricerca sonora che costella la sua esistenza e al contempo la tristezza dell'amara realtà: “Oggi la musica è offerta come un mezzo di intrattenimento, come un gioco, senza la qualità audio totale. E' come un bel passatempo o un giocattolo, non un messaggio per l'anima. Ecco, così sono cambiate le cose.”
Joseph Campbell sosteneva, a riguardo della ricerca dell'essere umano, che ciò che l'uomo cerca veramente è l'esperienza di essere vivo, in modo che la vita fisica abbia una risonanza interiore tale da fargli provare il rapimento del vivere. La ricerca di Young, la sua ossessione per la perfezione da raggiungere in ogni atto creativo, la musica – linguaggio di una vita e della vita – conducono l'Essere Neil a quel rapimento del vivere che gli permette di esprimere in una frase (che a mio parere è pura poesia) il concetto portante del suo Essere:
...quando suono ho la sensazione di massagiarmi l'anima.
Eliana Barlocco, mescalina.it


Il tempo scivola via dannatamente in fretta ma il primo libro di Neil Young è tutt'altro che un prevedibile Journey through the Past. Come poteva esserlo, d'altronde, con quel bastian contrario del canadese. Il sogno di un hippie , splendidamente tradotto da Marco Grompi e Davide Sapienza, è una cavalcata elettroacustica in punta di penna e senza canovaccio. Uno stream of consciousness di passioni, cadute, visioni e ossessioni. Flash di un'epoca memorabile mescolati a ondate di nuovi sogni proiettati nel futuro.
Nel corso di quasi mezzo secolo di carriera Neil Young ha saputo convertire il malessere sociale, politico ed esistenziale in immagini poetiche. Qui usa la prosa come un grimaldello per scardinare ancora una volta l'immagine stereotipata di oscuro, ermetico, allucinato, scostante cavaliere. "Io amo vivere": questa rivelazione disarmante nella sua semplicità viene da un uomo che con la morte ha un conto aperto fin dall'infanzia: a sei anni in Canada contrasse la poliomielite, a sessanta lo colpì un aneurisma.
Nel mezzo, una vita itinerante di musica e automobili, donne stravizi e tanti compagni lasciati per strada, il cui ricordo è una ferita costantemente aperta (fra gli altri, l'amato chitarrista dei Crazy Horse Danny Whitten a cui è dedicato il dolente Tonight's the Night, 1975). Due figli affetti da paralisi cerebrale, una rara malattia non trasmessa ereditariamente. Davvero il passato, con i suoi ricordi, è "un bel posto dove stare"? Eravamo pronti a salvare il mondo, canta Young in Walk Like a Giant (2012), poi "è cambiato il tempo".
Se il passato non si può cambiare, Neil Young non si è mai dato per vinto e ha messo in piedi mille e un progetto per il futuro. La sua mania per i mezzi di trasporto, unita allo sviluppo di una profonda sensibilità ecologica, lo hanno convinto a imbarcarsi nello studio di un auto elettrica con un sistema di generatori alimentato a biomassa: la Lincvolt. L'ossessione per la qualità del suono e per il collezionismo audio sono sfociati nel progetto PureTone, la nuova tecnologia digitale in Hi-Fi. L'incontro con la disabilità ne ha fatto un sostenitore benemerito della Bridge School, scuola che usa la tecnologia per insegnare la comunicazione ai bambini con gravi problemi.
Un pesce di mare che nuota controcorrente. È toccante sentir raccontare come nasce una canzone. Le canzoni sono come le lepri, vanno catturate lasciando aperta la finestra dell'immaginazione anche quando fa male. Per esempio Will to Love, scritta su un pezzo di carta e registrata una notte in stile audio verité, talmente intima da non poter essere prodotta né riprodotta. O Motion Pictures (On the Beach, 1974), composta sotto l'effetto di honey slides, un intruglio di erba e miele che dopo qualche cucchiaio "ti rilassavi fino alla metà della settimana dopo". O la tonante Like a Hurricane (American Stars 'n Bars, 1977), memorabile per quel feeling magicamente catturato nell'istante perfetto, nonostante le imprecisioni.
Di anedottica senza filo conduttore e foto inedite sono ricchi i numerosi capitoli del Sogno. Lo sbarco in California dall'Ontario, l'incontro con Stephen Stills e i viaggi on the road su un carro funebre modificato. Le feste hippie, la vita comunitaria e le difficoltà di socializzazione, i successi e la coerenza oltre ogni limite, le parole di Dylan che in America fanno parte del paesaggio, l'euforia e i malesseri di Woodstock e di Altamont, Grace Slick in topless all'Airplane House, l'incontro con Hendrix, quelli con i Devo e i Pearl Jam. Uno dei più divertenti vede Young tornare a casa a notte fonda durante le sedute di registrazione di Deja vù con i CSNY e ritrovarsi a pulire il bagno con i suoi animali da compagnia, due piccoli lemuri.
Ho troppe cose da fare ma prima devo pulire la lavagna, conclude Neil Young. Che nel frattempo ha superato lo stallo creativo e chiamato a raccolta i Crazy Horse, schitarrando come ai bei tempi in Psychedelic Pill, trentacinquesimo album in studio, forse il più lungo di tutta la sua carriera. Come il peccato è ovunque, la redenzione è ovunque si potrebbe dire a proposito dell'ubiquo Neil, citando Baudelaire. Della sua generazione è fra i pochi rimasti a conservare quasi intatto lo Spirito, cioè la capacità di sognare un sogno senza tempo. Salvare il mondo. O forse cambiarlo, almeno un po'.
panorama.it

E’ tutta colpa di Keith Richards. Che ci ha regalato il più bel libro rock di tutti i tempi, la spettacolare autobiografia “Life”. Come notava il New York Times qualche tempo fa, quel libro – una sequenza di fuochi d’artificio linguistici e aneddotici – ha spiegato ai musicisti che raccontare la propria storia può aumentare il profilo, può generare benefici economici e d’immagine. Insomma, Keith Richards ci ha regalato anche il diluvio delle biografie ufficiali. Apriti cielo. Ne sono uscite due particolarmente attese, in questo periodo. “Waging heavy peace” di Neil Young e “Who I am” di Pete Townshend. Pare che quest’ultima sia sul livello di quella di Richards (“Mick Jagger è l’unico uomo che mi sarei scopato”, è una delle frasi più citate per promuoverla e spiegare il linguaggio diretto del chitarrista degli Who). Io, nel frattempo, ho letto quella di Neil Young. Lo dico? Altro che Le Noise. La noia. L’ho detto. E’ come ascoltare uno di quei dischi fuori di testa che Neil Young ha spesso prodotto. “Trans” o “Everybody’s rockin”. Capisci perché l’ha fatto. Capisci che c’è un’idea, magari anche bella. Ma lo consumi con l’amaro in bocca e alla fine ti dici: cazzo, con tutto quel talento, doveva proprio tirar fuori una roba così? Eppure Neil Young è esattamente questo. Uno che fa tutto a modo suo, e ci piace anche per i suoi colpi di testa. Ma questo libro… Non aspettatevi coerenza, non aspettatevi storie. Ce ne sono, certo. Ma molte meno di quelle che ci si potrebbe aspettare da uno che calca le scene da quasi 50 anni. E comunque sono perse in un flusso di coscienza di divagazioni sulle sue passioni. Per dire: le prime 50 pagine sono per metà dedicate ai trenini elettrici – il vecchio Neil si è pure comprato un’azienda che produce riproduzioni in scala. Buona parte delle altre pagine sono dedicate alla sua passione per le macchine (tra cui la LincolnVolt – macchina sperimentale) e a quella – un’ossessione, in realtà – per la qualità dell’audio. Young si sta impegnando nel lanciare un sistema hardware-software di distribuzione consumo di musica a livello dei master di studio. Ne ha mostrato anche un prototipo da Letterman, di questo sistema Puro. Young sostiene che gli MP3 sono la radio – buoni per la scoperta della musica, ma pessimi perché riproducono appena il 5 percento delle sfumature cui un musicista lavora in studio – e ha ragione a condurre questa battaglia. Gli auguriamo tutta la fortuna possibile, ma nel libro questa cosa ritorna una quantità di volte impressionante. Gli stessi concetti sono ripetuti allo sfinimento. In mezzo qualche dettaglio sui suoi rapporti con Stephen Stills, David Crosby e Graham Nash, aneddoti su Dylan e Springsteen, sulla scena californiana in cui è cresciuto. Molta introspezione – è bello, questo sì, entrare nella mente ostinata e un po’ contorta di un grande come Young, vedere i suoi processi mentali. Questo è il lato positivo del libro, che però non arriva alle vette letterario delle oniriche “Chronicles” di Bob Dylan. Se vi accontate, bene. Se no, passate oltre, alla prossima bio, o al prossimo disco con i Crazy Horse.
Gianni Sibilla, Rockol.it


Un Neil Young che si racconta, ma nel presente e con sguardo rivolto al futuro: è Il sogno di un hippie, prima autobiografia del musicista canadese, edita in Italia da Feltrinelli. Bando alla nostalgia e alla (inevitabile) dimensione memoriale, in queste pagine emerge il ritratto di un uomo tutto teso a “sognare” il futuro. Che futuro? Uno fatto di energie pulite e rinnovabili, libero da combustibili fossili, e in cui la musica, pur nelle forme e nei modi del digitale, venga ascoltata ad una qualità dignitosa. I progetti in questione, che vedono impegnato Neil in prima fila, con cuore e portafogli per così dire, sono Lincvolt, un prototipo di auto elettrica, e PureTone, un sistema di codifica/riproduzione di file audio in alta definizione. Il denominatore comune è quello (hippie, appunto) dell’equilibrio, del rispetto, sia verso l’esterno (l’ambiente, la musica) che verso se stessi, incanalato nella storica militanza pacifista. Ed è proprio questo «fiume d'amore», come lo chiama lui, ad averne segnato l’esistenza negli ultimi anni: Young, oggi, è un uomo sobrio (ha detto stop a droga e alcool), un marito felice e un padre amorevole.
La dimensione familiare è ovviamente presente nelle pagine de Il sogno di un hippie: il songwriter canadese, infatti, racconta di Pegi Morton, l’attuale e seconda moglie, e dei suoi due ragazzi, Zeke (nato dal precedente legame con Susan Acevedo) e Ben, entrambi afflitti da una forma di paralisi cerebrale. Ma c’è, ovviamente, altro. Lungo le 448 pagine del libro, Neil si racconta a tutto tondo, mescolando, come in una delle sue vibranti jam, fatti e piani temporali. La passione per i trenini elettrici (di cui ha una collezione quasi museale), le auto e le chitarre (la mitica “Old Black”), il legame di sangue con Stephen Stills («è un fratello»), l’importanza di Bob Dylan, il «vecchio amico Bruce» e quelli portati via dagli stravizi (l’altro “fratello” David Briggs, Danny Whitten, Jack Nietzsche): c’è molta aneddotica, ma gustosa, trattata con rispetto (eccola di nuovo, questa parola), non calibrata per lettori avidi di curiosità ma snocciolata per il piacere della riflessione, della condivisione. E pazienza se, in certi suoi slanci, Young suoni un po’ «troppo cosmico»: «Non dubitare della mia sincerità, perché è quella che ci ha condotto qui insieme», ammonisce.
Ciò non toglie che l’impressione che trapeli qua e là è che il vecchio Neil sia meglio come autore di canzoni che come scrittore, ma tant’è. Il senso profondo di quest’operazione è tracciare un bilancio che sia, però, punto di partenza per nuove avventure, in groppa a quel “cavallo pazzo” che, a giudicare dall’ultimo LP, Psychedelic pill, di fiato ne ha ancora tanto.
labottegadihamlin.it


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