Decade - Rassegna Stampa
La
West Coast fa l'esame di coscienza. Potrebbe essere la definizione di
un mondo musicale che dopo essere stato per anni in continua
evoluzione, sfornando artisti di gran classe e soprattutto rimanendo
ancorato al movimento giovanile delle università, segna ora il passo
e dopo il ritorno di Crosby, Stills and Nash (l'album uscito l'estate
scorsa) vede il proprio orizzonte nel buio più assoluto. Le novità
di questi tempi non sono altro che riproposte di volti musicali che
ormai conosciamo a menadito: subito dopo il disco Live di Graham Nash
e David Crosby, un altro protagonista arriva con ben tre lp, ma con
materiale in gran parte noto. Se per il duo sopracitato è la riprova
discografica di quanto in California sia importante il contatto con
il pubblico, per Neil Young, ché di lui si tratta, c'è addirittura
l'antologia da grande stella del folk, country o pop, insomma
etichette a parte, Young volge lo sguardo al passato e offre più di
due ore di musica. A trent'anni, dopo undici anni di attività sulla
scena, Young sembra ormai stanco di essere sulla breccia, così
l'ultimo lp (American Stars 'n Bars) era solo vecchio materiale ed i
pochi brani inediti non erano quanto di più eclatante si potesse
ascoltare. Comunque sia, Decade, il triplo in questione, è una
eccellente retrospettiva su uno dei beniamini a livello
internazionale. Con il suo fascino da bambino triste ed introverso,
Young non sembra mostrare notevole esperienza che pesa sulle sue
spalle di chitarrista, compositore e cantante; vale quindi la pena di
ripercorrere brevemente le tappe più significative della sua
attività, densa di momenti felici, dove l'ispirazione dettava lavori
di grande fascino, ed altri periodi dove il canadese sembrava
smarrire la forza per continuare la vita artistica ad alto livello.
Originario
di Ontario (dove è nato nel 1945), Young forma nel 1966 (anno di
grandi speranze per il pop) i Buffalo Springfield, con Steve Stills
(da qui inizia la duratura collaborazione che sfocerà anni più
tardi nel supergruppo), Dewey Martin, Bruce Palmer e Richie Furay;
gruppo che realizzerà tre dischi di estremo interesse e che si
scioglierà nel 1968. Young nell'organico ha un ruolo importante,
costituendo l'alter-ego di Stills, con cui divide le parti
solistiche, e componendo brani di rara bellezza che costituiscono
“gemme” di ispirazione sia acustica che rockeggiante, dove il
quintetto mostra un amalgama ed un affiatamento che lo pone di
diritto tra i grandi della nascente musica marca West Coast. Il
gruppo perde poi l'armonia che ne aveva permesso il rapido imporsi e
Young abbandona gli altri, insoddisfatto ma soprattutto smanioso di
proseguire un discorso individuale come solista, libero dagli schemi
che la vita in un gruppo comporta. È il 1967, l'estate che Monterey
con il suo festival rende “acida” con nuovi nomi del calibro di
Grateful Dead, Jefferson Airplane, Quicksilver Messenger Service e
Jimi Hendrix. Il pop è in fermento e la musica “nuova” con
protagonisti di tale portata è lo scossone decisivo per la scomparsa
definitiva del beat di marca anglosassone. In fondo Young è proprio
lo specchio fedele di questo continuo alternarsi di nuove idee e
forme musicali. Nel gennaio 1969 Young realizza il suo primo disco
come solista, timido tentativo di concretizzare il proprio materiale
su disco, ma l'immagine di ex Buffalo Springfield costituisce una
etichetta difficile da scrollarsi di dosso e il canadese forma un
proprio gruppo, i Crazy Horse (Danny Whitten, Billy Talbot, Ralph
Molina) che lo accompagna negli spettacoli e nelle brevi tournée.
Con il gruppo, Everybody Knows This Is Nowhere, secondo lp, risulta
più organico, aggressivo anche nei momenti dove la personalità
dell'artista mostra tutta la rabbia e l'introversione. A questo punto
l'unione con Stephen Stills, David Crosby e Graham Nash è la svolta
nella sua vita artistica; la lunga amicizia con Stills lo convince ad
abbracciare l'idea e Dejà Vu (secondo disco del supergruppo) è
addirittura esaltato dalla presenza di Young, uomo di grandi capacità
tecniche ed ottimo compositore, che si integra perfettamente con le
differenti personalità dei compagni; il rock di Stills, la vena
“acida” di Crosby e l'easy beat dell'ex Hollies, Graham Nash che
dopo l'arrivo in America si è integrato alla perfezione. “Helpless”,
delicatissima nel suo fraseggio vocale, e “Country Girl” sono le
due firme di Neil con il quartetto. È da qui che Young verrà
definito come la facciata melanconica di personaggi che sembrano
viceversa vivere nella perenne ed incosciente spensieratezza tipica
dei californiani. Ma la produzione solistica non viene abbandonata e
l'apice giunge con After The Gold Rush e Harvest, vette che il
canadese non raggiungerà più e che rimangono testimonianze
indelebili di un periodo particolarmente felice per il canadese. Il
“supergruppo” fremente di attività, dai numerosi concerti incide
4 Way Street, doppio album che focalizza le quattro diverse
personalità con attimi acustici della forza di “Cowgirl In The
Sand” e “Don't Let It Bring You Down”, ripresi dai precedenti
“solo”, ed in particolare “Southern Man” in cui Young non
dimentica i giovani negri ingiustamente maltrattati per la politica
razzista di molti stati americani, uno sfogo dove le chitarre dei
quattro si mescolano in rabbiose combinazioni. Poi non va dimenticata
“Ohio”, ispirata dall'episodio dei quattro studenti uccisi
durante i disordini con la polizia nella Kent State University.
Inizia un periodo quasi di declino: il supergruppo rimane vittima
delle proprie contraddizioni e dello scontro di personalità così
preponderanti, e Young ritorna sui propri passi, entrando in un
momento di lunga pausa dalle scene, rimanendo assente dagli studi di
incisione. Inevitabile momento di riflessione dopo anni sfolgoranti,
un lungo periodo che termina con l'uscita di Journey Through The
Past, doppio album realizzato come colonna sonora di un film
fantastico sulla sua vita. È il momento più difficile per Young,
mentre d'altra parte gli ultimi sprazzi con CS&N sono trionfali e
folle oceaniche rendono omaggio al mito californiano. Due successivi
lavori come Time Fades Away e On The Beach tra il 1973 e il 1974,
superano l'impasse della stasi ma non rilanciano in grande stile
Young che solo con Zuma, un anno dopo e di nuovo con i Crazy Horse,
sembra ritrovare il connubio felicissimo di folk acustico e rock con
impasti di steel nella più smagliante “tradizione”
westcoastiana. Ma la storia prosegue e Young sorprende ancora, mentre
Crosby e Nash continuano felicemente nel loro sodalizio discografico,
Stills ripropone all'amico un nuovo gruppo, nato più per scherzo che
per rinverdire ricordi di glorie passate. Long May You Run è il
frutto discografico dei due affiancati da strumentisti chiamati per
l'occasione, il successo è incredibile e coglie tutti di sorpresa,
anche gli stessi musicisti, e la Stills & Young Band rimane un
episodio isolato, seppur di ottima fattura. Arriviamo quindi ai
giorni nostri con il discusso lp come solista.
Ora
Decade appunto. Nonostante spesso raccolte di questo tipo pongono
strani interrogativi perché c'è sempre il rischio di ritrovarsi
davanti a materiale di ripiego e a pezzi notissimi, quasi da
“greatest hits” insomma, Decade è invece una ricca antologia
della affascinante personalità di Young, uomo sì di spettacolo ma
capace anche di rifugiarsi nel suo mondo personale dove l'unica
compagnia è la sua chitarra che lo asseconda continuamente. Se in
questo modo sono nati alcuni episodi interessanti, è vero comunque
che l'inserimento di Young in un gruppo gli è stato di sprone per
continuare la propria attività solistica e per affinare il proprio
linguaggio tecnico. Articolata in tre dischi, l'album è una lunga
carrellata (più di due ore di brani) che copre un arco di tempo dai
primi episodi con i Buffalo Springfield fino a Long May You Run. C'è
l'interesse per l'inedito come “Down To The Wire”, realizzata con
il primo gruppo di Stills ma non incisa, la ballata “Sugar
Mountain”, poi “Campaigner”, “Love Is A Rose” e “Deep
Forbidden Lake”, che Decade riscopre e propone come momenti
interessanti di ben undici anni di vita musicale. È uno spaccato
esauriente con inevitabili passaggi obbligati (“Cowgirl In The
Sand”, “Ohio”, “Heart Of Gold”, “Old Man”, “Harvest”)
molto interpersonali, tutti giocati vocalmente ed acusticamente,
mentre altri episodi sono illustrati illuminanti riguardo gli anni
sessanta e qui porremmo in testa l'incredibile “Broken Arrow”
incisa con i Buffalo, e “Mr. Soul” dove il connubio con Stills è
più efficace. È superfluo a questo punto citare tutti i brani che
in totale sono 34, perché si rischierebbe l'enciclopedia di una star
come Young. Decade comunque accontenterà tutti, fans vecchi e nuovi,
proprio per questa intelligenza di compilazione, opera di Young e con
la collaborazione di David Briggs e Jim Mulligan, che toglie ogni
dubbio sulla serietà del lavoro. Ciò che Decade in fondo pone in
evidenza è lo sterile clima californiano di questi tempi, perché la
luce splendente del country, folk, rock e pop, nelle varie
articolazioni, si sta affievolendo sempre più. Neil Young è un
grande artista e la “rinascita” potrebbe essere più vicina di
quanto si creda.
Guerin
Sportivo, 1977
È
il momento di tirare le somme dopo circa dieci anni di lavoro. E lo
sguardo nel passato, la selezione dei passaggi più importanti viene
fatta attraverso un album antologico, il primo della carriera di
Young. La selezione comprende addirittura tre album: un disco
importante per chi non ha potuto seguire l'attività di Young (o per
l'età o per un disinteresse precedente). Tra i brani più
significativi inseriti in questa tripla raccolta vi sono: “Sugar
Mountain”, “I Am A Child”, “Southern Man”, “Harvest”,
“Helpless” e “Cortez The Killer”. Inoltre vi sono alcuni
brani inediti che Young ha voluto inserire in questo lavoro
dimostrandosi sempre più prolifico come autore.
Elia
Perboni, Music 1982