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Harvest - Rassegna Stampa (pt.3)

 
Siamo nel 1972 e il grande Neil Young sta ancora compiendo il sentiero della definitiva affermazione, e questo Harvest, uno dei suoi prodotti più emoziononanti, è la prova risolutiva del salto di qualità del solitario cantautore canadese, capace ancora una volta di farci innamorare delle melodie delle sue ballate, e farci scatenare con i suoi pezzi più rabbiosi.
Harvest è forse il disco che in qualche modo rappresenta al meglio l’intera figura di Neil Young, come si può soprattutto evincere dalla canzone “A Man Needs A Maid”, un brano commovente nelle sue melodie che abbinano un malinconico tormento a sprazzi di solarità e calore incredibilmente affascinanti. Il pianoforte che sorregge il brano viene supportato magistralmente dall’esiguo (ma discreto) apporto di una piccola orchestra che accompagna le linee melodiche con timpani e archi rinvigorendo dolcemente tutta l’atmosfera creata. Ma anche in questo disco non posso mancare le più classiche ballate alla Neil Young, come la prima “Out On The Weekend” e la seconda omonima “Harvest”, due canzoni molto semplici, non di altissimo livello, ma comunque leggere e piacevoli nelle proprie strutture ritmiche e melodiche che si ripetono in maniera molto simile in tutti e due i brani.
Arriviamo così al brano che ha regalato il successo definitivo al cantante canadese, sto parlando della mastodontica “Heart Of Gold”, una canzone dal contenuto emotivo indescrivibile, la classica ballata da ascoltare e da cantare con qualcuno di intimo sotto un cielo che si sta arrendendo lievemente ad un caloroso tramonto. L’armonica di Young e tutti gli altri strumenti si amalgamano in maniera eterea e fugace, creando un’atmosfera effimera e soave, delicata e perfettamente levigata, un qualcosa di estremamente musicale e melodioso, una sensazione meravigliosa. Toni più movimentati e anche più allegri ci vengono presentati con la quinta “Are You Ready For The Country”, classica canzoncina blues-country, divertente, dall’arrangiamento facile, ma non per questo poco coinvolgente, ed è proprio in questo caso che esce trionfante la figura di Neil Young, capace di rendere affascinante qualsiasi strofa e di ammaestrare l’ascoltatore con riff sempre ben arrangiati anche se strutturati su basi a tratti banali.
Si continua con un'altra splendida ballata acustica, sto parlando di “Old Man”, che oltre a introdurre nuove scale melodiche, porta avanti temi più impegnati, al contrario di quelli delle prime canzoni, caratterizzate da testi molto semplici e a tratti quasi banali. Con questa song si fa più viva e vigorosa la capacità di Young di affacciarsi all’interno della figura umana attraverso un introspezione resa meravigliosa dall’accompagnamento strumentale che la band del cantautore canadese ci offre. Ma la paradisiaca atmosfera creata viene bruscamente interrotta dalla successiva “There’s A World”, in cui l’orchestra diventa eccessivamente ingombrante e spazza via le sonorità più soavi e posate delle canzoni precedenti. E meno male che a risollevare nettamente le sorti del disco ci sia la grandiosa “Alabama”, storica canzone con cui Neil entrò in conflitto con i sudisti Lynard Skynard che risposero al suo attacco con la straosannata Sweet Home Alabama, ma naturalmente la canzone di Young è su un altro pianeta rispetto a quella dei Lynard Skynard; infatti in questo brano il cantautore conferisce un emotività fortissima, creando un impatto molto deciso ma non per questo confusionario, anzi. Essa si discosta anche dalle precedenti per i suoi arrangiamenti e per le sue basi ritmiche molto più movimentate e scosse che rendono questa canzone emozionante e sensazionale, di una bellezza abbagliante.
Così si arriva alla fine del disco con la dolce ballata “The Needle And The Damage Done” e con la fantastica “Words (Between The Lines Of Age)”, canzone da sogno, da cui si evince la vera anima del musicista canadese, che chiude il disco in un piacevolissimo sussurro.
Harvest rappresenta indubbiamente il lavoro che ha consacrato Neil Young come grande artista, una pietra miliare del Rock che ad una funesta malinconia e ad un evidenziato tormento interiore, abbina un effimera e armonica celestialità che lo rende un disco eccezionale. Pensate soltanto che questo album, nel 1972 ha battuto in vendite Thick As Brick dei Jethro Tull e Machine Head dei Deep Purple, quindi… immaginate. 
Paolo Bellipanni, rockline.it


 La sua chitarra, la sua voce graffiante come il vento nella prateria, ormai fanno parte a pieno diritto dell’immaginario collettivo, non solo della musica, in particolare country-folk, ma di tutto la cultura nordamericana della seconda metà del novecento.
Ben pochi artisti si possono fregiare di questo onore, e cosa ancor più rara e, forse non tanto gradita agli americani, lo si può affermare per un canadese.
Strana sorte quella dei canadesi, considerati quasi figli di un Dio minore, beffati dal destino, che si è preso la briga di farli nascere a due passi dalla terra in cui tutti i sogni si possono (si potevano) realizzare.
Per i figli della terra degli aceri le porte del successo sono spesso sbarrate dall’assurda ottusità del pregiudizio.
Ma questa storia che circola negli ambienti, non solo musicali, del nordamerica, non vale per il buon vecchio Neil, i suoi lavori e il suo modo di fare musica costituiscono, ancora oggi, un punto di riferimento per chi si vuole cimentare nella difficile arte della musica della tradizione.
Ma Neil, il canadese, è andato oltre, infatti non solo, si è permesso di scalzare dalla classifiche veri e propri mostri sacri della musica americana, ma si è anche concesso il lusso di attaccare con la sua voce tagliente, imbracciando una chitarra, la società americana nei suoi cortocircuiti e nelle sue storture.
Ne sanno qualcosa i tronfi cow-boy dell’Alabama, denunciati di razzismo e di conservatorismo; queste denunce, presenti nel pezzo “Alabama”, ma anche in “Southern Man” di After The Gold Rush, saranno rimandate al mittente dall’irrequieto gruppo dei Lynyrd Skyrnyd, con l’altrettanto famoso pezzo Sweet Home Alabama.
La disputa terminerà con un riconciliazione tra i due contendenti, infatti, i Lynyrd nei loro concerti indosseranno spesso t-shirt raffiguranti “l’odiato” cantautore canadese.
L’album Harvest è registrato nel 1971 a Nashville, la sancta sanctorum del folk country, ma è pubblicato solo nel 1972, per problemi di salute di Neil, ed è subito un clamoroso successo: è l’album più venduto dell’anno, la concorrenza, se pur agguerrita, viene sbaragliata in maniera imbarazzante, il canadese solitario, mette a tacere le velleità di molti gruppi Yankee.
Il pubblico ha ancora voglia di ballate e di folkrock, prima di abbandonarsi, qualche anno più tardi, all’ubriacatura dell’hard rock e del progressive, sempre più incalzanti nel panorama musicale di quel periodo.
Per ora ad imporsi è il rassicurante sound delle origini, fatto di ballate acustiche e di sferzate blues che ritemprano gli animi disorientati da un mondo minacciato dall’apocalisse nucleare.
L’incipit di Harvest è impressionante, tra le prime quattro tracce troviamo veri propri capisaldi della musica folk, fatta eccezione per la terza traccia “A Man Needs a Maid”, appesantita da infiltrazioni orchestrali non sempre equilibrate, i ritmi sincopati di “Out On The Weekend”, “Harvest”, “Heart of Gold” e, soprattutto, la loro forza evocatrice, ci portano lontano nello spazio e nel tempo, sembra di vivere l’epopea dell’età della corsa all’oro, magari attraversando a cavallo una prateria smisurata, come quelle che si trovano solo nei film western.
Menzione a parte merita “Heart of Gold”, famosissimo pezzo del folksinger canadese, odiato dal santone Bob Dylan per non averlo scritto lui, nonostante lo sentisse istintivamente suo.
Con Harvest, Neil Young non aspira ad un ritorno al passato, la musica è quella delle origini, ma le tematiche affrontate, non ignorano una società in fermento, il cambiamento non è uno spettro per il cantautore canadese, anzi, è fortemente auspicato, soprattutto per superare quei vizi, questi sì, retaggio di un passato fatto di discriminazione e di soprusi.
Con “The Needle and the Damage Done”, Neil Young affronta il doloroso problema della droga, infatti è dedicata al suo amico Danny Whitten, chitarrista dei Crazy Horse, stroncato da un overdose, il pezzo (live) emerge in tutto la sua disperazione e sconforto.
Un altro pregio delle composizioni di Neil è la capacità di affrontare problemi universali partendo però da una prospettiva autobiografica, comunque toccata con mano; con i dischi di Young, l’intellettuale scende in strada, l’invettiva e la denuncia dei tempi non proviene da un pulpito distante, ma è vissuta in prima persona, risultando perciò più credibile e appassionata.
L’autobiografismo di molti pezzi di Harvest costituisce il punto di rottura nei confronti di un intellettualismo troppo ripiegato su se stesso e autoreferenziale, la dimensione dei pezzi di Neil Young non va rintracciata nella profezia, ma nella più vicina realtà, il vecchio canadese racconta storie che partono dalla cruda esperienza della realtà e non da quella evanescente della visione onirica.
Nella corso della sua carriera Neil Young non si rifugerà mai in testi ermetici ed incomprensibili, anzi, al contrario, in alcuni casi, il suo rincorrere la realtà lo porterà a lavori non sempre degni di nota come il magnifico Harvest.
Questa pietra miliare della musica folk, inoltre, riamane impressa anche per la famosa copertina, forse una delle più riuscite di quei tempi, i ghirigori bucolici del titolo e del nome dell’autore sovrasta un sole arancione, quel sole sconfinato della prateria, importante linfa di energia per i preziosi raccolti (harvest) della campagna.
Come il sole nutre i raccolti della terra, così la calda ispirazione di Neil Young nutre le tracce di questo imprescindibile album, offrendoci così un magnifico raccolto.
Alberto Vangi, vivicorato.it


Harvest è il disco più famoso di Neil Young, ma personalmente non credo sia il più bello. Contiene brani strepitosi ed epocali, ma anche gli esperimenti tutto sommato poco riusciti con la London Symphony Orchestra. Sicuramente è un lavoro musicalmente poco appariscente, se paragonato a Everybody Know This Is Nowhere, After The Goldrush, On The Beach, Tonight’s The Night, Zuma o Rust Never Sleeps che io giudico migliori, ma, rispetto a tutti questi dischi, Harvest smorza i toni e le ruvidezze e quindi si fa apprezzare da un pubblico più vasto, quello che ha sempre amato il Young menestrello più che il padre del grunge.
L’apertura è per “Out On The Weekend”, un brano che potremmo definire la quintessenza dell’album. Pacato, ben costruito sulla batteria metronomica di Kenny Buttrey e la slide onnipresente del grande Jack Nietzsche che porta a spasso The Stray Gators, la band di supporto che annovera tra le file anche Ben Keith e Tim Drummond. Segue “Harvest”, grande ballata country che si enfatizza nei versi “Dream up, dream up, let me fill your cup with the promise of a man”.
“A Man Needs A Maid” non mi permette di essere obiettivo. Non ho mai amato i brani rock suonati con una orchestra sinfonica, la trovo inutile e ridondante in buona parte dei casi e credo che qui non si sfugga alla regola. Le versioni più raccolte che darà in seguito Young saranno a mio avviso di gran lunga migliori e trarranno il meglio da questa splendida composizione. Idem dicasi per “There’s a World”, che però è anche meno bella e che risente un po’ del periodo storico troppo ‘progressivo’.
A parte questa parentesi poco incisiva, gli altri brani sono da urlo: “Heart Of Gold”, il singolo con James Taylor e Linda Ronstadt alle backing vocals, è semplicemente perfetto e rimarrà per sempre nelle ‘vene’ della tradizione americana, proprio come “Old Man”, sempre con i due amici alle backing vocals, che ha nella chitarra di Young, nel banjo di Keith e nelle tre voci il vertice della composizione.
Per gli altri pezzi invece perché non farsi aiutare dagli amici di quel tempo? Ecco quindi Crosby, Stills e Nash duettare a rotazione su “Are You Ready For The Country?” (Crosby & Nash), canzone tra l’ironico e il patriottico in cui è ancora il piano di Nietzsche a fare da padrone, su “Alabama” (Crosby & Stills), altra invettiva contro il razzismo del sud dopo la “Southern Man” su After The Goldrush a cui i Lynyrd Skynyrd risponderanno con l’arcinota “Sweet Home Alabama”, e su “Words (between the lines of age)” (Stills & Nash), che chiude ottimamente l’album e finalmente libera gli istinti oscuri della chitarra stralunata di Young. Sette minuti finali di pura poesia, già a partire dal titolo.
Ho lasciato per ultimo il brano forse più famoso, ovvero quell’invettiva tremenda del Young, drogato, contro la droga. “The Needle And The Damage Done” è qui proposta in versione live alla Royce Hall, solo chitarra e voce, ed una di quelle canzoni che hanno spinto molti adolescenti a comprare una chitarra. Il verso “ogni drogato è come un sole che tramonta” mette sempre i brividi. Davanti a opere così bisognerebbe senza dubbio togliersi il cappello. 
Fabrizio Demarie


Recensire un album del passato è un’operazione delicata ma efficace, perché costringe a riascoltarlo. Ma recensire uno degli album più amati in assoluto è ancora più emozionante.
Pur veleggiando ormai verso i 70 anni, Neil Young continua a sfornare dischi e sembra non essere mai stanco di osservare e raccontare. Eppure nell’inizio, come è noto, c’è tutto. Pertanto quei dischi di inizio anni 70 restano comunque i più significativi per la lunghissima carriera di questo artista. Così questo schivo ragazzo ventiquattrenne, improvvisamente diventato famosissimo e ricchissimo dopo il disco che precede Harvest, After the Gold Rush, si compra un ranch e chiacchiera con il vecchietto che era lì da una vita a lavorare. E il vecchio gli chiede: io ho lavorato una vita e non ho niente, come fai tu che sei così giovane, ad avere già così tanti soldi? E da questo episodio nasce “Old Man”, racconto di una vita che ha bisogno di amore, altrimenti l’alternativa è essere vecchi anche da giovani: «Ho perso l’amore e a quale costo, dammi cose che non vadano perse/ vecchio guarda la mia vita, è così simile alla tua/ ho bisogno di qualcuno che mi ama sempre/ uno sguardo nei miei occhi e capirai che è vero». Grande pezzo, e si capisce che Neil ci contava particolarmente, come pure su “Heart of Gold”, altra canzone insieme ad “Old Man” in cui i cori erano affidati niente meno che a Linda Rondstadt e James Taylor. Il clima è sicuramente "western", la maggior parte del disco viene registrata a Nashville, ed oltre alle due canzoni citate, ci sono altri pezzi storici del repertorio del canadese, dall’incipit di “Out on the weekend”, a quella “Alabama” violentemente attaccata poco tempo dopo dai Lynyrd Skynyrd; dalla indolente title track, “Harvest”, all’accorato appello a non rovinarsi con la droga di “The Needle and the Damage Done” (canto questa canzone perché amo l’uomo, anche se so che molti di voi non capiranno). Insomma, per i vecchi come me un disco da riascoltare, magari facendo più attenzione alle parole; per i giovani un passaggio da non perdere, un capitolo da non lasciare indietro. Molto belli anche i concerti che Neil Young teneva da solo in quel periodo, voce chitarra e armonica, dove la bellezza ruvida delle sue canzoni risalta ancora più pura: ne stanno uscendo sia in cd che in dvd. E se vi chiedevate perché Ligabue in “Certe notti” cita Neil Young, beh, ascoltate questo disco e lo capirete da soli. 
Walter Muto


Registrato a Nashville nel 1971 con gli Stray Gators (Ben Keith, Tim Drummond, Kenny Buttrey, Linda Ronstadt e James Taylor), l'album viene pubblicato un anno dopo per consentire a Young, che nel frattempo si è separato dalla moglie, di sottoporsi a un intervento chirurgico alla schiena.
Canzoniere bucolico di grande fascino lirico, Harvest segna un ritorno alle origini country di Young e ne esalta i risvolti più teneri e umani. "Canto questa canzone perché amo l'uomo/ So che qualcuno di voi non lo capisce.../ Ho visto l'ago e il danno compiuto/ Un po' di questo è in ognuno/ Ma ogni drogato è come un sole che tramonta", canta in "The Needle And The Damage Done", tentando di salvare l'amico Danny Whitten, leader dei Crazy Horse. Ma Whitten morirà per overdose di eroina pochi mesi dopo. Harvest è uno psicoviaggio nell'era hippie, una successione di aperture radiose e ripiegamenti nell'ombra.
Le scene rurali, le ambientazioni di una provincia americana quasi cinematografica, nascondono sempre una grande tensione emotiva. L'iniziale "Out On The Weekend" scandaglia gli abissi della solitudine ("See the lonely boy out on the weekend") e della malinconia. La tristezza si attenua per un istante tra i suoni più morbidamente country della title track , ma il pathos si fa nuovamente impetuoso sulle note di "A Man Needs A Maid", ispirato da Carrie Snodgrass, l'attrice di "Diario di una casalinga inquieta", dalla quale Young ha avuto il figlio Zeke: l'orchestrazione aggiunge ulteriore enfasi, ma è il falsetto tremulo del canadese, sospeso sul filo dell'emozione, a sciogliere il cuore. Seppelliti timpani, arpe e violoncelli, Young veste poi i panni del country-singer romantico per la ballata di "Heart Of Gold", una melodia perfetta accompagnata dalla pedal steel di Ben Keith, dall'armonica e dalla chitarra acustica. Chiusa la prima facciata con il divertissement di "Are You Ready For The Country?", tocca a "Old Man" riprendere le fila del discorso, con un banjo, strumento principe del country, a dettar legge. E se gli arrangiamenti per orchestra di Jack Nietzsche appesantiscono "There's A World", "Alabama" mette a nudo il cuore sanguinante del disco: un'altra invettiva antirazzista che, dopo "Southern Man", torna ad accusare i "sudisti": "Alabama, you've got a weight on the shoulder that's breaking your back/ your cadillac has got a wheel in the ditch and a wheel on the track". I Lynyrd Skynyrd controbatteranno con ardore patriottardo nell'altrettanto celebre "Sweet Home Alabama". Chiude il disco un'altra folgorazione elettrica: "Words (beetween the lines of age)", con sventagliate di chitarre, trascinanti cambi di tempo e il falsetto vibrante di Young in primo piano. 
ondarock.it


Questo periodo di "riflusso" da parte di Neil Young culminò con Harvest (1972), l'album che lo consacrò fra le stelle del rock. Pur senza ripetere l'exploit di “Last Trip To Tulsa” o gli incubi di This Is Nowhere, contiene infatti diversi classici di country-rock (“Out On A Weekend”, “Harvest”, “Old Man”, “Heart Of Gold”), ballate tenere e tristi con strumentazione povera e ritmica marcata, accompagnati da note malinconiche di armonica e da languidi lamenti di slide, motivi orecchiabili cantati in un caratteristico tono anemico che finisce invece per accentuarne l'epica commovente; e qualche sofferta ballata pianistica (“A Man Needs A Maid”). È il suo album più fedele a Nashville, ma è anche la sintesi dei dischi precedenti: la mitologia decadente dell'esordio, il nervoso pessimismo del secondo, e il pacato folk-rock del terzo trovano un maturo punto di equilibrio. Ci sono anche un brano polemico contro il razzismo dei sudisti, “Alabama”, che, proseguendo nel solco di “Southern Man”, solleverà polemiche, e un debole sermone contro la droga, “Needle And The Damage Done”, che farà altrettanto epoca (forse il brano più sopravvalutato della sua carriera).
Harvest sembra semplicemente la bella copia di quel "blueprint" che era After The Gold Rush, ma in realtà contiene anche un lato oscuro, minaccioso, a sprazzi terribile, che fa da ponte con This Is Nowhere. 
Piero Scaruffi

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