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Time Fades Away - Rassegna Stampa



È il primo album live di Neil Young solista. Ancora una volta l'artista è imprevedibile nelle sue scelte e anziché ritentare nello stile raffinato contenuto in Harvest, che ha rappresentato un successo anche dal punto di vista economico, preferisce assecondare la sua anima di rocker dando ancor maggior risalto a questo aspetto con i suoni del concerto live. In realtà questo lavoro potrebbe dividere i fans del cantautore ormai disorientati dai suoi continui cambiamenti. Accompagnato ancora una volta dagli Stray Gators (con la collaborazione di David Crosby e Graham Nash) che si cimentano in un suono abbastanza primitivo e schematico, Time Fades Away racchiude un altro aspetto singolare. Non è il solito live contenente brani conosciuti, ma tutte le composizioni sono nuove e fra di esse spicca senz'altro “The Bridge”, tutta suonata da Young con piano, armonica a bocca e canto, una composizione dalla quale riesce ad emergere il miglior Young. Purtroppo questo resta un episodio abbastanza isolato in tutto il lavoro, sottolineato da un rock ripetitivo e tecnicamente privo di spunti interessanti. 
Elia Perboni, Music 1982


[…] Si può ben dire che la parte migliore della carriera di Young si concluda proprio con Harvest. I dischi pubblicati in seguito rappresentano soltanto pagine già lette ed emozioni già sentite; ma Young è unico e così anche dischi come Time Fades Away, registrato dal vivo e uscito nel '73, o On The Beach, del '74, o ancora Tonight's The Night e Zuma, entrambi del '75, rappresentano ancora uno dei volti più interessanti del West Coast sound, magari proprio grazie a quella crudeltà che Young vi ha immesso. […] 
La grande enciclopedia del Rock


Scosso dalla tragica morte di Danny Whitten, anziché tentare una qualche forma di pacificazione interiore assecondando l'umore conciliante e la piacevolezza melodica di Harvest, Young va a ficcarsi in una specie di buco nero che passerà alla storia come “the doom trilogy”. Aggredito dalla rabbia e dai sensi di colpa si presenta davanti al pubblico, in tour con gli Stray Gators, non con un'antologia dei suoi successi ma con un pugno di nuove canzoni scomposte e largamente incomprensibili, alcune aspre e febbrili, altre irrimediabilmente tristi e malinconiche. Time Fades Away è la nervosa fotografia di un momento desolatamente nudo, onesto, senza filtri. Un live di inediti con l'energia brutale che un trattamento di studio avrebbe rischiato di edulcorare. Meglio espellere tutto il rancore e il pessimismo così, senza ripensamenti, e senza abbellire la title-track, “Journey Through The Past”, “The Bridge” e “Last Dance”, che infine riescono a trasmettere un gran senso di verità, per quanto sgradevole.
Mucchio Selvaggio Extra 2004


Time Fades Away - “...il ponte stava per cadere...”
...e tutto comincia con un disco dal vivo, che compie a momenti l'oscuro prodigio di nascondere i suoni, chitarre derelitte e pianoforti nostalgici. Persino la voce, la voce che canta. Quel che rimane è polvere di parole che si fanno pensieri, sin da quei “quattordici tossici troppo deboli per lavorare”, là, in una “pain street” che sembra volerci condurre lungo l'intero cammino. “Il tempo svanisce”, mentre ogni notte le sentinelle “fissano il chiaro di luna”. Da qui, un viaggio visionario verso un passato che non c'è, forse mai c'è stato, con “piogge d'inverno che cadono fitte” e un violinista che dice al suo tamburo “rimarrò con te se tu starai con me”. E così, tra finestre coi vetri spezzati, rami dietro ai quali nascondersi, si disperdono dialoghi d'ombra (“...dell'oceano pieno di alberi e di te, ora”), notti in cui dormire dimenticando un amore e un ragazzino con “scarpe bianche ai piedi” che comincia a suonare la notte.
Infine, quel ponte, poco prima di un'“ultima danza” che celebra in silenzio la sua fine. Potrebbe servire “molto, molto tempo” per poterlo attraversare. 
Mucchio Selvaggio Extra


L'autore lo considera così poco riuscito che tutt'oggi non ha ancora permesso di ristamparlo su cd. Peccato, perché invece è uno dei suoi dischi se non più belli sicuramente più coraggiosi. In un'epoca storica dove il (raro) disco dal vivo era una celebrazione, cioè una raccolta di hit ben rispolverati, Neil Young, allora forse l'artista americano di maggior successo, se ne uscì con una sgangherata raccolta di brani tutti inediti. Nessuno lo aveva mai fatto. Young è accompagnato da ottimi musicisti, non dai simpatici ma terribili Crazy Horse: un batterista straordinario come Johnny Barbata, il poderoso bassista Tim Drummond, Ben Keith alla steel e Jack Nitzsche al piano. Quindi per il messaggio che fa capolino a un ascolto attento: Young annuncia la fine del sogno e delle utopie hippie, profetizzando drammaticamente l'era di crisi e di morte (Danny Whitten scompare per overdose proprio durante le prove del tour) che di lì a poco prenderà il sopravvento. Lo fa attraverso canzoni come la title-track, “L.A.”, “Yonder Stands The Sinner” e soprattutto la claustrofobica “Last Dance”, un vero urlo dalle viscere sommerso da un muro di distorsione. A parte “Don't Be Denied”, manifesto di integrità artistica e personale. In mezzo alcune delle sue più dolci e intense ballate pianistiche. 
Paolo Vites, JAM



Dopo la gloria di After The Gold Rush e Harvest , Young si prende un paio d'anni prima di tornare a un album in studio (On The Beach , luglio 1974). In quella stagione realizza Journey Through The Past , il film a lungo accarezzato, e questo primo live della carriera. Time Fades Away è un disco atipico, per molti versi: non una celebrazione del passato, un best of di cinque turbinosi anni da solo o con il Supergruppo, ma una rassegna di brani nuovi, offerti al pubblico in una ruvida veste spesso precaria. Ci sono ombre di Bob Dylan, nella title track e nella finale “Last Dance” ma anche nel modo spiccio con cui Young propone le canzoni, e nel montaggio senza effetti speciali, con le urla del pubblico soffocate e a distanza. Il repertorio è ineguale e l'album finisce per essere un vaso di coccio tra vasi di ferro nella formidabile discografia younghiana di quegli anni. Non mancano comunque pagine interessanti specie fra le ballate, come “Journey Through The Past” e “Don't Be Denied”.
Riccardo Bertoncelli, delrock.it



A Harvest fece seguito un periodo di crisi personale, marchiato dalla morte di due amici, durante il quale la sua personalità subì una profonda trasformazione. Il pessimismo, che prima era stato poco più di un diversivo, divenne una tetra filosofia di vita, e tolse brio ed entusiasmo al musicista. Il precoce invecchiamento spirituale si tradusse in temi sempre più realisti trattati con spietata trasparenza. Nei momenti migliori quei temi si sposano ad accompagnamenti trascinanti e compongono visioni spaventose della psiche individuale e collettiva.
Time Fades Away (1973), registrato dal vivo, si cullava così in un sound inerte e lugubremente introverso, da “Don't Be Denied” a “Last Dance”, con un'altra invettiva contro l'eroina, appunto “Time Fades Away”. 
Piero Scaruffi
 

Questo non è un disperato album a perdere o un veloce live album. Forte e denso ma mai pesante, con riff cantati connessi alle più semplici componenti armoniche, è direttamente country, anche se non accenna a buoni momenti di nouveau-rockabilly. L’apertura “Don’t Be Denied” è un inno all’incoraggiamento a tutti giovani pieni di speranza che non si riduce a snocciolare la fama e i malcontenti. E il finale “Last Dance” evoca la quotidiana rottura di palle lavorativa che paga i biglietti di Neil Young, suggerendo l’alternativa che ‘puoi vivere la tua vita’, e il climax nel finale include dozzine di lamenti su un ripetitivo riff. Sarà stato strano vedere i fan molleggiarsi lentamente su questa triste Epifania. Ma con gli Stray Gators […] che fanno così tanto per il pensieroso Young, con un’originalità non comune quale era stata quella dei Crazy Horse, è certamente eccitante ascoltare l’album.  Robert Christgau

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