È
questo album uno stupendo esempio di folk-rock nel quale Young sembra
aver finalmente tutta la padronanza, la grinta necessaria per uscire
dalla crisi che aveva tormentato gli ultimi anni. Nuovamente con i
Crazy Horse (la figura di Whitten è sostituita da Frank Sampedro)
Young riesce a inserire nell'album i due elementi che caratterizzano
la sua musica, le due fonti sonore composte dalle situazioni folk,
acustiche e quelle elettriche del rock cadenzato e molto ritmato, con
le pennate piacevolmente ossessive della chitarra elettrica. La voce
nasale di Neil Young racconta canzoni quali “Danger Bird” e
“Cortez The Killer”, dove la voce melanconica diventa spesso
rabbia in un racconto lungo, con i Crazy Horse che propongono uno dei
momenti di maggior feeling tra loro e Young. L'ultimo brano della
seconda facciata vede assieme al cantautore anche Crosby, Stills &
Nash, una ballata lenta che porta il titolo di “Through My Sails”.
Con Zuma Neil Young riconquista sia il pubblico che la critica e
ritorna ad essere una delle principali figure della scena musicale
californiana e, comunque, conferma del suo essere protagonista
fondamentale del folk-rock. Per completezza, freschezza, tecnicismo e
allo stesso tempo spontaneità, questo rimane a tutt'oggi uno degli
episodi più importanti della carriera di Young, un disco che può
essere accostato, per quanto riguarda la popolarità e i risultati,
ad Harvest.
Elia
Perboni, Music 1982
Se
ne sta parlando da un po’: il rock è vecchio, stanco, si trascina
ecc. E poi: chi lo deve suonare? Lo suonano i vecchi ecc. A me sembra
che il rock (and roll) suonato da certi vecchi coi capelli bianchi e
il fisico scassato sia di gran lunga ancora molto vitale e vivo (mi è
capitato di vedere band di giovani con le chitarre in mano, alcuni mi
sembravano alquanto ridicoli). L’elenco è chilometrico, una strada
meravigliosa che va da Keith Richards a Willie Nelson, Jimmy Page,
provate a pensarci. In ogni caso è tutta gente che è nata più o
meno quando è nato il rock, come nel caso del nostro amato Neil
Young, che ha stabilito fin dall’inizio con la musica un legame
indissolubile, lottando contro gli aggiustamenti del mercato e chissà
quante altre cose. Del bisonte sto aspettando da una vita la
(faticosa) ristampa in CD di On The Beach, fa parte del periodo che
amo di più, dagli inizi fino a Live Rust, forse perché ero giovane
anch’io e quelle canzoni le suonavo in modo viscerale e me le
portavo dentro.
Zuma
fa parte di questo periodo, quando Neil venne invitato dai Crazy
Horse per ascoltare il nuovo chitarrista Frank Sampedro (cercavano da
tempo qualcuno per colmare il vuoto lasciato da Whitten). E tutta
l’energia creativa sprigionata in quelle session è stata
rilasciata poi lentamente, in seguito, ma qui dentro ce n’è a
palate, compresi i significati più profondi di un cambiamento
altrettanto profondo in atto nella testa e nel cuore del canadese.
Ripercorse,
queste canzoni sono più che mai vive, almeno nel cuore di chi
scrive. Apre "Don’t Cry No Tears" e c’è molto Neil
Young in questa grintosa e malinconica canzone (“…Bè, mi chiedo
chi sta con lei stanotte, mi chiedo chi la tiene stretta, ma non
posso dire nulla per allontanarlo. Oh, l’amore sincero non è
difficile da riconoscere. Non piangere lacrime su di me”). Non male
come inizio. Poi "Danger Bird" con tutto il sentire civile
espresso in modo così dolce e grintoso nello stesso tempo. Di
seguito si ritorna su un tema molto caro a Neil Young, con una
canzone dall’andatura introversa, acustica, impreziosita da inserti
di chitarre soffuse e cori obliqui: "Pardon My Heart" credo
abbia insegnato a scrivere a una moltitudine di nipotini venuti poi
ad affacciarsi con successo o meno dentro la storia del rock ("…Che
triste comunicare con poco in cui credere, quando uno non da e
l’altro finge di ricevere…"). Avanti poi con una delle mie
preferite, "Lookin’ For A Love", un ballabile storto,
tipica andatura da Crazy Horse, ma la canzone non è allegra, c’è
inquietudine, ricerca ("…nei suoi occhi scoprirò un’altra
ragione per vivere e trarre il meglio da ciò che vedo….Cerco un
amore giusto per me, non so quanto mi ci vorrà, ma spero di
trattarla bene e di non incasinarle la testa, quando si accorgerà
del mio lato più oscuro"). Ma non basta perché arriva
"Barstool Blues" e qui c’è quasi tutto nella voce e
nella Gibson ("…una volta un mio amico è morto di un migliaio
di morti…"). Dopo "Stupid Girl", uno dei tanti moti
di attenuato rancore, cantato magnificamente su due registri e venato
da un’ironia sardonica e dopo lo struggimento lancinante della
potente "Drive Back" (qui c’è un grande Sampedro), ci
inchiniamo di fronte alla magia senza tempo di "Cortez The
Killer" (che pare sia stata registrata più o meno lo stesso
giorno di "Like A Hurricane", vengono i brividi a
pensarci). La canzone sembra una riflessione trasfigurata,
applicabile a qualsiasi cosa (superficialità, mancanza di rispetto,
tempo che passa, rock, difficoltà a costruire, facilità a
distruggere…), ma è ancora nella musica che il canadese ci
schianta. La struttura è semplicissima, eppure la canzone ti
avvolge, ti stritola, potrebbe durare ore, insieme al suggestivo
racconto dell’arrivo del predatore della civiltà Azteca.
Il
disco si chiude con una canzone proveniente da altre session e ci
ripresenta il megasupergruppo. "Through My Sails", che era
passata così in sordina, rappresenta ora qualcosa di magico, quel
qualcosa di impercettibile e di indescrivibile (ma anche di
ineludibile) che Lookin’ Forward forse non è riuscito a
restituirci.
Pier
Angelo Cantù, Late for the Sky 2000

Il
secondo disco con il nome dei Crazy Horse in copertina, ma dai tempi
di Everybody Knows sembra passato un secolo di lutti, matrimoni
falliti e gloria mal digerita. I nuovi Crazy Horse ricompongono le
righe della mitologia rock 'n' roll, con la spiaggia di Zuma, il
senso di comunità di un piccolo ma colorito entourage, le droghe,
l'alcol, le poche regole e un riconquistato alito di libertà. Il
nome decisivo è quello di Frank “Poncho” Sampedro. Appoggiandosi
alla sua ritmica vigorosa, Young è finalmente libero di riaccendere
la corrente elettrica con grassi e tesi titoli quali “Barstool
Blues”, “Stupid Girl” e “Drive Back”. Intriso di antichità
e mito è il pezzo chiave “Cortez The Killer”, sette minuti di
volo sui territori precolombiani, al sole di Malibu. Come al solito
non è da un'unica session che proviene tutto il materiale. “Pardon
My Heart” e “Through My Sails”, i soli episodi acustici
(quest'ultimo con le voci di CSN), riportano Young al Broken Arrow,
la casa base di Young, che a trent'anni aveva già percorso il buio
del tunnel e ne stava finalmente venendo fuori.
Mucchio
Selvaggio Extra 2004
Zuma
- “...sono un'ombra nel cielo...”
Va
verso Zuma, e ci va lentamente. È un po' come prendere il volo: Zuma
in una stanza di lacrime e finisce con un vento che soffia. Non è
cosa da poco. “Don't Cry No Tears” si rivela d'improvviso lieve,
sembra che sorrida al passato. Ma lo fa malinconicamente, raggiunta
in un istante da quel “Danger Bird” che “vola solo /
cavalcando il vento che lo riporta verso casa / anche se le sue ali
sono diventate di pietra”. Difficile dimenticare un'immagine così.
Anche perché lei “è stata con un altro”, e l'uccello recluso si
è ritrovato “legato sui binari”, con la pioggia a batter forte.
Minacciosa, incombente, senza fine. Ma nonostante tutto, vola.
Un'ombra, nel cielo, che vola. Ed è qui che l'arco si solleva, ma
prima di raggiungere il vento c'è ancora molta strada da percorrere.
“Pardon My Heart”, la tristezza di parole che non dicono nulla e
sono come un inutile silenzio. E “Lookin' For A Love”, velata
speranza che ritrova quella spiaggia (“forse la incontrerò proprio
lì, e cominceremo dicendoci ciao”) ma teme ancora di rivelare un
“lato oscuro” che incombe, come nuvole lontane. Dallo sgabello di
un bar, un altro blues aggrappato a un pensiero: “se solo potessi
bruciare la nebbia e lasciare che il sole attraversi la neve /
lasciami guardare il tuo viso prima di andarmene”. La voce è
assoluta protagonista, ormai, assorbe la marea degli strumenti e si
fa d'improvviso poesia (“ti ho vista nei miei incubi, ma so che ti
rivedrò nei miei sogni”), e preghiera, e dolore. La morte ritorna,
ma è solo un momento, al di là di “Stupid Girl”, per rallentare
in “Drive Back”, lei non può andarsene via, non adesso, non può
ritornare. Ed è uno di quei momenti, uno se l'immagina così, in cui
tutto può essere tutto ed arrivare in ogni luogo. Anche un arco di
cielo.
E
allora, d'improvviso, Cortez arriva “danzando sull'acqua”, cerca
una nuova terra e un palazzo nel sole. Ha, in sé, “i segreti del
mondo” e la potenza per dannarli. Ma c'è un segreto, nella storia
di Cortez, chiamato assassino, e non per gioco. C'è una frase, messa
lì, in un angolo, bellissima: “so che lei vive là, so che mi ama
ancora. Non ricordo ancora quando, o come, ho perso la mia strada”.
Ed è come se qualcosa ci portasse lontano, lontano da Cortez, da
quegli amori, da un uccello di pietra prigioniero di treni
invisibili. Ed è, ancora, una spiaggia.
Già.
Una spiaggia. Che di questo viaggio è l'illusione, il nodo,
l'orizzonte. “Sto in piedi sulla riva del mare: è così bello, là
fuori”. Silenzio. Ed è un uomo che quell'orizzonte ha davanti allo
sguardo, basterebbe un gesto, un passo, un sorriso, per saperlo
incantare. Così, con tono lieve, soave, ed un poco malinconico, il
tutto è un vento che “soffia attraverso le mie vele”. Ritornare
è sentirsi come non essersene mai davvero andati, e di nuovo
partire, con il vento che soffia, sottovoce, verso un dove che ci
attende.
Mucchio
Selvaggio Extra
Album
equilibrato e solare, la rinascita dopo il periodo più buio della
carriera del canadese, capace comunque di generare gemme malate e
oscure come la trilogia Time Fades Away – On The Beach –
Tonight's The Night.
L'esatto
contraltare della paranoia di Tonight..., come un'improvvisa
guarigione dopo una febbre debilitante. Ci sono strascichi grunge
ante litteram (“Danger Bird”), impennate country-rock (“Looking
for a Love”), gioiellini elettroacustici (“Pardon My Heart”),
sfuriate elettriche (“Drive Back”) e cavalcate nell'immaginario
precolombiano (“Cortez the Killer”), prima di imbarcarsi con i
tre compari Crosby Stills & Nash in una regata verso nuove
avventure (“Through My Sails”). Nella sua semplicità quasi
disarmante forse il miglior album (altrettanto non può dirsi della
copertina) del nostro, capace di dosare ballate acustiche e
elettricità, ponendosi come l'antesignano di molto rock rugginoso a
venire.
Paolo
Redaelli
Zuma
(1975), tornando alla ballata elettrica di Everybody Knows, lo tirò
definitivamente fuori dalla crisi, con un sound più maturo e un
canovaccio fortemente introspettivo. In questo disco Young riuscì a
toccare diverse volte le corde più sublimi del suo lirismo,
soprattutto laddove piano e violini non guastano l'atmosfera creata
dal suo rugginoso e disperato canto. Un'altra intricata composizione
"dura", “Cortez The Killer”, dà il là alla raccolta,
che comprende anche “Looking For A Heart”, “Danger Bird”,
“Pardon My Heart”, “Barstool Blues”, “Don't Cry No Tears”,
una più "cattiva" dell'altra.
Piero
Scaruffi
Dopo
soli quattro mesi [dalla pubblicazione di Tonight’s The Night],
consapevole forse del danno arrecato al suo personaggio pubblico,
Young ha pronto un nuovo disco che finalmente rende giustizia alla
sua classe; Zuma lo restituisce in gran forma, inquadrato in un suono
rock sintetico, brillante e vigoroso, ma sempre con quelle sfumature
che lo negano alla banalità, al prevedibile, al sentimento
dell’ovvio. “Cortez The Killer”, il brano-manifesto del disco,
ha l’incedere imperioso e libertario dell’autore nei suoi giorni
migliori, “Through My Sails” ha il merito di riportare nello
stesso studio di registrazione Crosby, Stills, Nash insieme a Young,
per l’ultima volta, mentre di alto livello è anche l’operato dei
ritrovati Crazy Horse che, oltre ai classici Talbo e Molina,
presentano Frank Sampedro in sostituzione di Danny Whitten. Il ’76
non sarà un anno da ricordare a tutti i costi: un tour abbastanza
inutile e un album della Stills-Young Band, fiacco e con poche
scintille, operazione suggerita dall’ufficio di marketing più che
dall’istinto […]. Nello stesso anno un’apparizione nelle
festa-epitaffio-autocelebrazione della Band, nello storico concerto
di Last Waltz, poi trasferito su vinile e su pellicola da Martin
Scorsese.
da
Enzo Gentile, introduzione a “Neil Young” (Arcana 1982)